Più che un rapper – ma è una categoria terribilmente restrittiva per lui – Jay -Z è un concentrato di record da guinnes dei primati. Prendete il nuovo, 4:44 – secondo la fonte principe delle classifiche americane, Billboard, è il 14esimo album di Shawn Corey Carter (vero nome di Jay-Z) a raggiungere il vertice delle charts così da diventare l’artista con più numeri uno. Certo sono lontani i tempi delle vendite milionarie e alle certificazioni fisiche si sono sostituiti gli stream (con qualche annesso pasticcio dalle nostre parti, vero Fimi?), ma il risultato è pur degno di nota.

Uno stratega del flow ma soprattutto un abilissimo music maker che ha saputo pianificare la carriera attraverso mosse azzeccate e accordi miliardari, come quello con la Samsung che gli assicurò il disco di platino ancor prima dell’uscita sul mercato grazie alla distribuzione ai possessori di smartphone e tablet. Per non parlare del matrimonio burrascoso fra le mura domestiche ma decisamente fortunato sul fronte del business con Beyoncé, che sui tradimenti del marito ha saputo costruire con Lemonade, uno dei capitoli più affascinanti della sua carriera musicale. Ecco, la musica. Jay-Z l’aveva dimenticata un po’ per strada, distratto da mille altre attività, lanciando di quando in quando – più che altro per onorare i contratti – produzioni discutibili come Watch the Throne, un vero pasticcio assemblato a quattro mani con Kanye West. Nel nuovo lavoro sembra almeno più concentrato e deciso mirare più in alto. Per carità, siamo lontani dalle produzioni di Drake e Kendrick Lamar, ma almeno l’impegno questa volta sembra esserci.

Anche perché  4:44 suona come un sincero atto di confessione, una richiesta di perdono a Beyoncé, ma non solo. Abbandonati per strada gli stereotipi a base di «fuck» «dick» e «sex» di cui abbonda l’iconografia rap, Jay-Z ambisce ora a una introspezione dolorosa ben rappresentata in KillJayaZ dove parla di onestà e ricorda terribili trascorsi familiari come quando dodicenne sparò al fratello tossicodipendente.