Praticamente un incubo. Quasi di colpo, un musicista professionista ha difficoltà a suonare. I gesti tecnici, forgiati in anni di studio, diventano difficili e le mani non rispondono come prima. Di questa «malattia» ci parla, con sincerità e trasporto, il sassofonista Javier Girotto.

Partiamo dalla patologia che ti ha colpito tempo fa, a fine 2016, creandoti problemi nel suonare.
Il fenomeno mi si presentava non con dei dolori alla mano sinistra ma con formicolii o sensazioni di solletico amplificati al mille per cento, tanto che suonavo usando un guanto. Alcuni ritenevano che fosse un problema di terminazioni nervose. Diciamo subito che in Italia c’è un’ignoranza totale rispetto alla «distonia focale del musicista». Almeno in Spagna se ne parla, giornali importanti come El Pais ne trattano in modo ampio. È grave che da noi rimanga tutto sotto silenzio; lo stesso musicista che ha il problema inizia a nascondersi, ha paura di dichiararlo perché teme di non lavorare più ed entra nel panico.

Definiamo questa patologia.
Come detto, si chiama «distonia focale del musicista». Assomiglia a quello che era il «male dello scrittore», prima del computer: chi scriveva tanto sviluppava tensioni tali che gli impedivano di reggere la penna. Si chiama patologia perché non c’è segnale di danno fisico. Se si vuole si può trovare, come dimostrano le diagnosi che mi hanno fatto tanti specialisti: ortopedici, neurologi, fisioterapisti… Tutti hanno trovato qualcosa: il nervo ulnare si accavallava all’osso del gomito nel reggere lo strumento, creandomi un problema al dito anulare della mano sinistra; quattro protrusioni alla cervicale. Questo è il problema: la non conoscenza di quello che sta succedendo e può accadere. Per fortuna ho sempre suonato anche se, mentre vai avanti con certe diagnosi e continui ad avere il problema, affondi inconsciamente nel panico e inizi ad aver paura di suonare.

Cosa accade, quindi?
È una tensione inconscia che si focalizza in un punto, quindi è una patologia psicosomatica. Si calcola che in questo momento ci siano più di 20mila musicisti al mondo che soffrono di tale patologia. Ci sono casi «storici» – almeno in via di ipotesi – di «distonia focale», come tanti musicisti che non hanno trovato il modo di combattere un «nemico» difficile da identificare e localizzare.

Quali le cause? Nel tuo caso, non potrebbe essere che l’impegno e lo sforzo per realizzare l’album in solo («Escenas en solo», del 2017) abbiano generato la «distonia focale»?
Col senno di poi potrebbe essere. Ho lavorato tanto e sodo, ho inseguito la perfezione tecnica e potrebbe essere stata una cosa sbagliata. Inseguire con una certa ossessione la perfezione tecnica, non essendo noi perfetti, può provocare la «distonia». Ci sono altri musicisti che ci sono incappati per la perdita di una persona cara, per una separazione particolarmente traumatica, ci possono essere tanti motivi per cui viene e altrettanti per cui se ne va.

Dicevi che hai trovato aiuto in Spagna.
Mi sono documentato su internet e confrontato con musicisti che ci erano passati. Alla fine mi sono autodiagnosticato la «distonia focale del musicista». Ho saputo che a Terrassa, vicino Barcellona, c’era una clinica specializzata che affrontava il problema in modo biomeccanico. Parte delle tecniche usate proviene da studi su persone colpite da ictus. Ho avuto un colloquio con i medici, tramite Skype, e mi hanno mandato ancor più nel panico dicendo che, se volevo entrare in cura, dovevo smettere di suonare per un anno e mezzo o due, dedicandomi solo alle terapie. Questa prospettiva mi ha distrutto. Ramberto Ciammarughi (pianista, tastierista, didatta e compositore, ndr) mi ha raccontato che aveva avuto come allievo un bravo bassista siciliano che aveva avuto questo problema e ci sono entrato in contatto. Mi ha illustrato la soluzione e il relativo percorso: era un trombonista che sta a Madrid, si chiama Joaquin Fabra.

Non un medico, perciò, ma un musicista.
Lui affronta il problema da un punto di vista psicosomatico. Sono andato a Madrid e ho passato una settimana con lui. Abbiamo molto parlato, come in una seduta psicologica, ma essendo musicista sapeva i movimenti che stavo sbagliando. Conosce i problemi che hanno i vari strumentisti, in particolare i molti chitarristi che lo consultano. La cosa bella è che, come mi ha detto, non bisogna smettere di suonare perché suonare fa parte della terapia. Fabra non è un medico ma aveva avuto lo stesso mio problema e non riusciva più a suonare essendosi creato un blocco con l’imboccatura dello strumento. Ci ha messo sette anni a comprendere cosa accadeva: si era autonalizzato e aveva capito che il diaframma si chiudeva per le tensioni che si autoprovocava. Ero così disperato che ormai mi sentivo nelle sue mani: Fabra mi ha parlato molto e al quarto giorno è scattato un «click» nella mia testa. Mi guardava suonare e con il quarto dito della mano sinistra facevo così tanta pressione che ho spaccato la chiave senza rendermene conto e lui mi ha fermato. «Quel dito lì – mi ha detto – appoggialo solo, dolcemente». L’ho fatto e la nota ha suonato e lì mi è sembrato di scoprire un mondo. Prima ero accecato, il corpo aveva identificato quel movimento come un aspetto negativo, un segnale di pericolo: ho scoperto un mondo in un gesto che ho fatto per tutta la vita.

Puoi spiegare meglio?
Ti faccio un esempio. Il corpo si abitua e comincia a identificare un punto (la focalizzazione) che avverte come «pericolo», crea un allarme focalizzato in un determinato movimento. Dopo questo «click» non è che Fabra mi ha curato, mi ha solo aiutato ad arrivare in una parte inconscia di me. In seguito mi sono rinchiuso e ho lavorato da solo: entri in un mondo tuo, fai progressi ma capita che torni improvvisamente indietro. Si presentano anche fenomeni di depressione ma l’importante è il lavoro che ho fatto. Quando si presentava la tensione nel dito toglievo la mano dallo strumento; se si ripresentava facevo altrettanto… una lotta. L’obiettivo era suonare e non dar retta alla tensione, non «ascoltarla». Quando inizi un processo di ripresa, cominci a stare più tranquillo. La mia fortuna è che ci ho messo due anni ad autodiagnosticarmi ma i musicisti, nella norma, ci si dibattono per minimo quattro-cinque anni, suonano con quel tipo di tensione per tanto tempo. Nel mio caso, nonostante la gravità della cosa, sono riuscito a recuperare facendo il percorso inverso e ci sto ancora lavorando. Adesso se suono non si sente niente, è tutto perfetto. Però mi sto rendendo conto che certe cose le suonavo «male» prima: in un certo senso sto migliorando. Ho fatto un percorso di rieducazione tecnica, ho imparato a percepire ogni muscolo della falange della mano. Mentalmente riesco a sentire tensione, rilassamento e movimento: cosa che prima non avrei mai pensato di poter fare.

Come aiuti gli altri musicisti colpiti dalla distonia?
Non li aiuto tecnicamente ma comunico loro che ce l’ho fatta e indico la strada seguita. Spiego che non bisogna smettere di suonare, così si toglie l’ansia e puoi lavorare più serenamente sull’aspetto tecnico. Naturalmente i sintomi possono essere molto diversi da quelli che ho avuto io ma il dato che li accomuna è la tensione che si focalizza in un punto del corpo. Quando parlo con i musicisti, qualcuno non accetta l’approccio psicosomatico, vuole guarire subito e non crede in un certo tipo di processo. Bisogna arrivarci per gradi e affidarsi, come io mi sono affidato a Fabra. Esternare il problema fa parte della soluzione e della guarigione. Ogni cura, in definitiva, è personale e personalizzata: l’importante è il passo iniziale, il «click», e la nostra mente può tanto.

UNA VISIONE POLITICA
Argentino d’origine, 55 anni, il polistrumentista (sax soprano e baritono, flauti andini) e compositore Girotto vive da tempo in Italia. Coniugando ad alto livello tecnica ed espressività, ha portato i colori del suo paese nel linguaggio intenso di Aires Tango, gruppo che ha superato i 25 anni con un costante successo di pubblico e dischi eccellenti («Escenas argentinas», 2004, basato su foto di Giancarlo Ceraudo) e che comprende Alessandro Gwis, Marco Siniscalco e Michele Rabbia. Innumerevoli i progetti e le collaborazioni del sassofonista che ha sempre avuto una visione anche «politica» della musica, da «Madres» (1997) a «Trentamila cuori» (2006), tante furono le vittime del colpo di stato militare in Argentina del 1976. Javier Girotto nel 2019 ha realizzato, per la tedesca Act, una versione cameristica dell’album inciso nel 1974 da Astor Piazzolla e Gerry Mulligan: «Tango Nuevo Revisited».