Javier Girotto, sassofonista-compositore argentino cinquantaquattrenne che vive in Italia dal 1990, è un musicista progettuale e creativo, instancabile. La sua carriera lo vede anche protagonista di pagine «storiche», come l’album Tango Nuevo Revisited (Act) che celebra la sinergia tra tango e jazz e il festeggiamento dei 25 anni di attività del gruppo Aires Tango, il 30 luglio prossimo alla romana Casa del Jazz.

Lei è stato il protagonista della rivisitazione del progetto discografico «Tango Nuevo», inciso nel 1974 da Astor Piazzolla e Gerry Mulligan. Come è nata l’idea?

Il produttore della Act, Siggi Loch, mi cercava per ridar vita al progetto ma io ero ancora afflitto dalla «distonia focale del musicista» (Girotto è stato colpito da questa particolare patologia dal novembre 2016 fino alla metà del 2018, ndr) e non mi facevo trovare. Quando ho iniziato a vedere la luce in fondo al tunnel, gli ho scritto una mail e mi ha risposto. Gli ho spiegato la mia situazione e quello che era successo, mi ha proposto di lavorare insieme per tre dischi ma il primo voleva deciderlo lui e doveva essere la rivisitazione di Tango Nuevo. L’album si chiamò così in Europa, nei paesi latini Reunion Cumbre e in quelli anglosassoni Summit. È il disco storico del 1975, con l’incontro tra Piazzolla e Mulligan.

Javier Girotto, Alessandro Gwis, Gianni Iorio

Che significato ha avuto nella sua storia musicale?

Per me è un album con cui sono cresciuto: avevo undici anni, sentivo molto tango e molto Piazzolla ed ascoltare il suo incontro con Gerry Mulligan è stato importante. Loch mi ha spiegato la sua esigenza, visto che era stato il produttore originario di un disco che andò benissimo come vendite in tutto il mondo, un disco paragonabile a Kind of Blue o a The Dark Side of the Moon, quegli album che fanno parte della storia dell’umanità. Il problema era «come» rivisitarlo, scoprendo poi in fase di realizzazione che questo lavoro – registrato a Milano – ha molto di italiano. Infatti, anche se i due artisti erano un argentino ed uno statunitense, gli orchestrali – l’orchestrazione prevedeva un incredibile numero di strumenti – erano per metà italiani e per metà rgentini trapiantati (come Angel «Pocho» Gatti). Piazzolla in quel periodo abitava a Roma e Mulligan a Milano e, addirittura, grazie anche a questo album Mulligan conobbe la sua ultima moglie, Franca.

Come ha quindi affrontato questa rivisitazione?

Nella versione originale c’erano bandoneon, sax baritono, orchestra, percussioni, batteria – la suonava Tullio De Piscopo -, piano, chitarra, contrabbasso… Ho pensato che in questa nuova versione era più funzionale andare in senso contrario, asciugarlo e, quindi, l’ho fatto in modo cameristico: pianoforte, bandoneon e baritono. Al piano c’è Alessandro Gwis che usa un po’ di elettronica, giusto per rendere lo spazio, la profondità che nell’originale conferivano gli archi. Ho aperto un po’ di più a situazioni solistiche ma rispettando soprattutto i contrappunti e tutte quelle linee scritte che erano molto importanti. Nell’originale Tango Nuevo di pezzi di Mulligan ce n’è uno solo: il sassofonista raccontava però di averne inviati tre a Piazzolla ma due si erano persi. Le malelingue dicono che il bandoneonista volesse suonare solo sue composizioni. Ma non è chiaro. Il brano è Aire de Buenos Aires e sembra fatto apposta per Piazzolla. Etude For Franca non c’era nel disco del 1975 e l’ho aggiunto io come per dare una rivincita a Mulligan. Era un pezzo dedicato a Franca Rota, una contessa che abitava a Roma, in un appartamento dove passavano tutti gli artisti latinoamericani e lei era l’amica di Piazzolla. Attraverso la realizzazione discografica conobbe Gerry Mulligan e nacque una bellissima storia d’amore.

«Tango Nuevo Revisited» non rischia di essere bollata come «un’operazione nostalgia»?

Per Siggi Loch lo è, mi ha detto chiaro e tondo di essere affezionato a quel titolo. A me – ora che lo sto riproponendo dal vivo, è servito per far emergere dalla memoria tante cose del passato, di un periodo che avevo quasi rimosso. Quindi mi sto divertendo tantissimo a suonare i brani, molti non li avevo mai eseguiti pur essendo cresciuto sentendoli.

La scelta dei partner a cosa è stata dovuta?

In Italia, secondo me, l’unico bandoneonista adatto è proprio Gianni Iorio, per la sua preparazione tecnica e improvvisativa; l’altro è Alessandro Gwis al piano e all’elettronica. Suoniamo insieme da una vita ma a livello di lettura e di improvvisazione è super completo. Conosce anche il linguaggio del tango, poi non è elemento da poco: non potevo chiamare un pianista jazz, non c’entrava assolutamente niente.

Bandoneon e pianoforte talvolta non finiscono per confliggere?

In questo repertorio c’è tanta musica, ci sono tante linee scritte. Loch originariamente addirittura voleva un duo – bandoneon e baritono – ma sarebbe stato impossibile rendere la musica di Tango Nuevo. Aggiungendo il pianoforte siamo riusciti a coprire tutte le parti melodiche scritte.
Il tour di di Girotto, Iorio e Gwis prosegue a luglio a Reggio Emilia (9), Antica Pieve di Vernasca (Piacenza, 19) e ad agosto a Sabaudia (Latina, 9) e Sarteano (Siena, 23).