«Paterson ascolta». La maggior parte delle indicazioni sulla sceneggiatura dell’ultimo film di Jim Jarmusch, Paterson appunto, iniziano con questa breve frase. A raccontarlo è Adam Driver, l’interprete del personaggio che dà il titolo al film.

«Paterson ascolta: le cascate, i rumori dell’ambiente che lo circonda, le conversazioni delle persone che porta in giro sul suo pullman». È raro avere un’opportunità come questa, continua Driver: «Essere in un film in cui la recitazione non comporta alcuna ’azione’».

Il Paterson dipinto da Jim Jarmusch – autista di pullman e poeta – è infatti un taciturno osservatore della piccola cittadina del New Jersey di cui porta il nome, e in cui vive con l’amata moglie Laura. A interpretarla è Golshifteh Farahani, l’attrice iraniana che dice di aver scoperto i film di Jarmusch quando appena dodicenne ha visto Coffee and Cigarettes in tv nel suo paese. Lui, Jarmusch, racconta la storia della cittadina in cui il film è ambientato e che sembra avere un rapporto quasi magico col suo omonimo autista: «Paterson è stata nell’Ottocento la capitale dell’industria tessile nordamericana. In tantissimi sono arrivati dall’Irlanda e dall’Italia per lavorarci, e alla fine del secolo molti di questi operai erano bambini. Anche per questo ci fu una forte ondata di proteste e scioperi a cui prese parte l’anarchico italiano Gaetano Bresci, di cui parlano due giovani passeggeri del pullman guidato da Paterson».

A portare il regista nella cittadina del New Jersey, però, è stata la poesia. E in particolare quella di William Carlos Williams: l’autore preferito del protagonista anche lui nato e vissuto a Paterson. «Williams era un pediatra e al contempo ha scritto poesie magnifiche per tutta la vita – dice il regista – dei versi tutti incentrati sulla poesia delle piccole cose».
Jarmusch ne cita uno significativo – «non ci sono idee che nelle cose» – e racconta che il rapper Method Man, che fa un breve cammeo nel suo film, ha inserito proprio questo verso nel freestyle da lui scritto per Paterson e declamato dentro una lavanderia a gettoni. Method Man è l’ultimo di una lunga serie di musicisti che hanno preso parte ai film di Jarmusch, che come lui stesso ricorda sono stati accompagnati da ogni genere di colonna sonora : «Dalla musica etiope a Mahler, da Schubert al rap del Wu Tang Clan». In questo caso però il regista racconta di aver avuto in mente la musica ambient elettronica fin dalla scrittura della sceneggiatura: «Ho studiato la storia di questo genere approfonditamente, ma alla fine ho deciso di scrivere io stesso le musiche con la mia band, gli Sqürl».

E la musica è anche la protagonista del documentario che il regista di Stranger than Paradise porta a Cannes fuori concorso – Gimme Danger – che ripercorre la storia degli Stooges di Iggy Pop. «Non sono bravo ad analizzare i miei film – dice Jarmusch – ma l’aspetto che Paterson e Gimme Danger hanno in comune è che entrambi mostrano come nella vita si possa scegliere la propria strada, ciò che si vuole fare. È stato così per Iggy Pop e vale anche per il personaggio di Laura. Che non è il cliché della casalinga: è una persona con forti passioni che fa sempre quello che le piace».

Allo stesso modo Paterson ha scelto di essere un poeta e un autista, e per il regista al cuore del film c’è proprio la sua capacità di abitare serenamente in questi due mondi molto distanti tra loro. Le sue poesie nel film sono quelle di Ron Padgett, autore anche di un’antologia sui poeti newyorchesi del Novecento – «che per me è come la Bibbia», dice Jarmusch – e che ha lavorato per venticinque anni alla traduzione dei versi di Apollinaire. «Alcune poesie di Paterson sono dei suoi vecchi lavori – spiega il regista – altre le ha scritte appositamente per il film». Tra cui quella dedicata ai fiammiferi del protagonista: gli Ohio Blue Tip. Un’altra celebrazione della poesia nelle piccole cose.