Trent’anni fa. Un plebiscito ben costruito, la Slovenia forma al volo un proprio esercito e i soldati jugoslavi di stanza nelle caserme – perché quella è ancora Jugoslavia – si ritrovano nella Repubblica secessionista. Si spara, qualcuno muore ma dura pochi giorni, la Slovenia dichiara la propria indipendenza e chiede al mondo di essere riconosciuta. Se non fosse per un paio di pallottole fischiate vicino alle orecchie di un barista a Gorizia e rimaste conficcate nel muro del bar, nessuno in Italia può supporre quello che sta accadendo a pochi passi. A Trieste la gente brontola, il confine è improvvisamente chiuso, niente benzina e sigarette né pranzi in Gostilna: una quotidianità di decenni cancellata in un lampo. La Repubblica più ricca della federazione jugoslava si stacca definitivamente: è quella che paga il prezzo minore e riesce ad evitare il grande bagno di sangue che avrebbe disintegrato i Balcani.

DOPO 30 ANNI, il bilancio non è roseo. «Con le idee autoritarie e gli alleati politici dell’attuale governo, la Slovenia 30 anni fa non avrebbe certo potuto arrivare all’indipendenza, né all’adesione alla Ue. Il morire della democrazia in terra slovena segue gli schemi già visti dalla storia del XX secolo e ora si trova in compagnia di autocrati e di paesi come l’Ungheria e la Polonia, che sono stati i primi nell’Ue a rinunciare alla democrazia» scrive sul quotidiano di Lubiana Delo Rudi Rizman, sociologo sloveno docente ad Harvard. Un governo di destra dalla parte dei più forti, intollerante con qualsiasi opposizione, esplicitamente intenzionato ad escludere la sinistra da ogni spazio politico a costo di rivedere la Costituzione.

LA CERIMONIA per l’indipendenza si è svolta venerdì sera a Lubiana, presenti numerose autorità: il nostro ministro degli Esteri Di Maio, il cancelliere austriaco Kurz, il premier ungherese Orbán, quello croato Plenkovic, il presidente del Consiglio europeo Michel. Colpi di cannone dal castello su piazza della Repubblica, campane a stormo, musica, discorsi. Il governo vieta la presenza delle bandiere delle associazioni partigiane e, con loro, disertano tutti i rappresentanti delle forze d’opposizione e dei sindacati. «Non ci fosse stata la guerra di liberazione dal nazifascismo, la Slovenia non sarebbe mai esistita», ricorda il presidente dell’Associazione dei combattenti della guerra di liberazione. È la prima volta che si escludono le insegne Borcevo da una cerimonia ufficiale.

PER JANEZ JANŠA «con la libertà la Slovenia si è guadagnata le ali» ma il nazionalismo spinto ed il suo feroce attacco alla stampa e a ogni voce critica lo stanno mettendo sempre più in difficoltà. I sondaggi segnalano un calo drastico di gradimento al governo di destra e invece la crescente simpatia per la sinistra di «Levica», il partito guidato dal giovane e combattivo parlamentare Luka Mesec. E anche venerdì sera lo si è visto clamorosamente: opposizione riunita in piazza Prešeren, almeno diecimila persone. Canti, musica, discorsi e la richiesta che sale dalla piazza da mesi: «Nuove elezioni, subito».