Jane Fonda, 84 anni: ultima star di Hollywood. Se non fosse che a lei quell’etichetta sta davvero troppo stretta. Icona del cinema semmai, figlia d’arte e Hollywood royalty dal cognome leggendario e una carriera di attrice davanti alle cineprese di autori come Cukor, Preminger, Hill, Penn, Pollack, Losey, Godard e Lumet. Poi militante attraverso mezzo secolo di lotte americane e globali – dalla guerra del Vietnam al femminismo, alle manette guadagnate l’anno scorso per i Fire Drill Fridays organizzati con Greenpeace per creare attivismo ambientalista.

La scorsa settimana ha ritirato il premio alla carriera – l’ultimo in ordine d’arrivo – il Golden Globe (premio deMille) che ha accettato con un discorso tutto dedicato all’espressione narrativa come elemento fondamentale, soprattutto in tempo di grandi sconvolgimenti. Prima di incontrare la stampa.

Cosa ha voluto dire dal palco?
Quello che mi premeva era di sottolineare l’importanza dell’arte. Specialmente in un momento come questo. In un momento di tumulto e caos e profonda divisione, l’espressione artistica è assolutamente essenziale. E mi sembra che molti dei film prodotti quest’anno possano aiutare a riflettere su molte crisi della storia americana. E alle tre principali che ci confrontano attualmente: la crisi «esistenziale» del clima, il Covid e la crisi legata al razzismo ed al rigurgito suprematista bianco. Il cinema può aiutarci ad affrontare questi problemi a ridare speranza. Ed è un momento di speranza perché Joe Biden ha vinto le elezioni. Abbiamo tutti lavorato duro pe ottenere questo risultato. Ha vinto nettamente e grazie soprattutto ai giovani e alle persone di colore. È il primo presidente ad anteporre a tutto la crisi climatica e si è dimostrato un uomo capace di ascoltare ed agire di conseguenza. Ora si tratta di mantenere la pressione su di lui perché vi sono forti pressioni anche dalla parte opposta, dall’industria degli idrocarburi, e dai suprematisti.

I premi alla carriera sono momenti di riflessione?
Uno dei vantaggi di vivere una lunga vita è quello di imparare un sacco di cose. Una è che è più importante essere interessate che essere interessanti. Io faccio un mestiere molto legato all’ego – devi essere bella, devi essere perfetta, i tuoi fan ti adorano… Ma quando ti avvicini alla fine della tua vita – ho quasi 84 anni, credo che vivrò forse ancora 10-15 anni…. dicevo che quando arrivi verso la fine ti rendi conto che il tuo aspetto, il tuo corpo e quelle cose lì sono molto meno rilevanti rispetto all’avere qualcuno che ti vuole bene e che ti ha perdonata. E che tu ami e che hai perdonato. E potere guardare indietro alla tua vita e percepire un senso, riuscire a rispondere alla domanda ‘perché sono qui?’. È fondamentale rispondere a quella domanda e bisogna cominciare a farlo prima di arrivare al capolinea, quando è troppo tardi.

Ha rimpianti?
Non è che non ne abbia – ne ho un sacco e riguardano soprattutto non poter tornare indietro ed essere una madre migliore. Ma credo davvero che sia inutile concentrarsi sui rimpianti. L’importante è imparare dagli sbagli per cercare di non ripeterli. Non temo la morte ma avrei terrore di giungere alla fine della vita con rimpianti senza poterci fare nulla. Credo sia utile ripensare alla propria esistenza e capire i propri genitori come persone. E i loro genitori, i nostri nonni…perché quando lo facciamo capiamo chi erano e perché erano così e perché, come spesso avviene, non siano stati genitori perfetti e che questo non ha nulla a che vedere con noi. E così possiamo perdonare loro e perdonare noi stessi.

Pensa a suo padre?
Mi manca molto. Penso a lui ogni giorno e lo sento ancora molto presente nella mia vita a dire la verità. Quando stavo scrivendo le mie memorie, stavo appunto scrivendo di mio padre quando mi ha chiamato per una cosa Yolanda, la figlia di Martin Luther King, non ricordo nemmeno perché. E gli ho detto: «Yolanda, posso chiederti una cosa? Ma tuo padre ti ha mai preso sulle ginocchia per insegnarti i valori della vita?». E lei mi ha risposto: «no, non l’ha mai fatto». Gli ho confessato: «no, nemmeno il mio. Non ricordo che lui mi abbia mai spiegato niente, ma tu ora hai i discorsi di tuo padre ed io ho i film del mio. E attraverso quei film mi ha insegnato i valori della giustizia e della correttezza e a non essere mai razzista…». Mio padre non era loquace, semmai imperscrutabile. Apparteneva ad una generazione di uomini che teneva a non mostrare emozioni e che non amava che gli altri divenissero emotive davanti a loro – e poi veniva dal Midwest che accentuava questo carattere. Ma mi ha insegnato attraverso i film e io lo ammiravo e gli ho voluto molto bene.

All’inizio della carriera si è allontanata da Hollywood…
Per trent’anni ho vissuto una vita abbastanza frivola, edonista. Vivevo in Francia, sposata con Roger Vadim che prima era stato sposato con Brigitte Bardot e Catherine Deneuve, è stato divertente ma non sapevo bene perché fossi lì. Poi ho trovato l’impegno politico e mi ha riempito di gioia e di motivazione. E sono certa che in molti hanno pensato «figurati è la figlia di Henry Fonda, bianca, privilegiata – non sarà difficile spaventarla e farla smettere.» Ma non me ne sono mai curata. Più mi attaccavano e più diventavo determinata. La militanza è qualcosa che ho imparato in Francai, da Simone Signoret e Yves Montand. Da loro ho imparato che non c’è niente di strano ad essere un’attrice e di sinistra.

Anche dopo 50 anni?
Personalmente intendo continuare a lottare. Sono famosa e quindi ho la possibilità di farmi sentire da molte persone. Ultimamente in particolare molte donne di una certa età. Noi donne con l’età diventiamo più coraggiose. Molte, come me, non sono più con uomini che si sono stancati di vederci forti (ride). Abbiamo la saggezza e abbiamo i numeri, siamo il gruppo demografico in maggiore crescita e siamo coraggiose.
Così cerco di convincerle a unirsi al movimento ambientalista per il clima. Nel 2020 abbiamo avuto più di nove milioni di adesioni sulla piattaforma virtuale – la maggior parte donne.

Perché l’impegno sul clima?
La crisi ambientale e del mutamento climatico determinerà il futuro della civiltà. Ogni altra cosa consegue dalla nostra abilità di fare ciò che la scienza ci consiglia: tagliare le emissioni di carbonio del 50% entro il 2030 e in seguito sganciarci del tutto. Io ho quasi 84 anni il che significa che per il resto della mia vita la mia attenzione rimarrà sul clima. E anche online abbiamo continuato le azioni di Fire Drill Fridays . E non appena potremo di nuovo riunirci intendo essere nuovamente lì a lottare e incoraggiare la gente e compiere disubbidienza civile. Se non sapremo risolvere questo problema, tutto il resto diverrà irrilevante. Non sarà facile ma possiamo farcela. Gli scienziati concordano che è possibile ma occorreranno enormi numeri di persone che chiedano ed esigano questa soluzione.

Una domanda su un termine oggi molto in voga, la «cancel culture»… cosa ne pensa?
È possibile che si possa esagerare ma io credo che sia piuttosto ora che la gente debba pensare due volte se usare la parola «negro». È bene che si debbano preoccupare prima di denigrare le donne. È ora che la gente rifletta sull’effetto che possono avere sul prossimo le loro parole e le loro azioni. E trovo giusto che quando facciano o dicano cose crudeli e cattive e misogine e razziste paghino un prezzo per questo. Ad esempio, in questi giorni stanno avvenendo udienze parlamentari a Washington sui fatti dell’assalto al campidoglio del 6 gennaio e per la ratifica dei membri del gabinetto di Biden. Fra questi alcune donne come Deb Haaland, che diventerebbe la prima ministra (del territorio, ndr) nativa americana, e (Meera Tanden) al ministero del bilancio. E i repubblicani, che non hanno avuto problemi a votare candidati impresentabili, Trump, le ostacolano e si inalberano perché queste avrebbero espresso opinioni forti sui social. Trovo incredibile l’ipocrisia, se sei uomo repubblicano puoi permetterti qualunque cosa, ma se sei una donna democratica allora sei squalificata. Questa sì che è cancel culture, di quella nociva.

Quali altre lotte rimangono incompiute dopo mezzo secolo?
Qui in Usa dobbiamo finire di lottare per l’Era (equal rights amendment – l’emendamento costituzionale sulla parità delle donne, ndr) E per tornare al clima, questo aiuterebbe immensamente il problema. Vediamo in giro per il mondo che tutti i paese che hanno leader donne o almeno la metà del parlamento costituito da donne, hanno maggiore probabilità ad approvare misure ambientali adeguate e hanno migliori statuti per combatter il mutamento climatico. Quindi, considero che promuovere la parità per le donne e promuovere le loro posizioni di guida politica sia cruciale per la sopravvivenza del pianeta.