Sei romanzi perfetti. Saggio su Jane Austen, verrà discusso in presenza della sua autrice Liliana Rampello al Festivaletteratura di Mantova oggi, alle 17.15, presso il cortile dell’Archivio di Stato, all’interno di una serata intitolata «Riscrivere la vita di una scrittrice famosa». Parteciperanno Sandra Petrignani, che racconterà di Marguerite Duras, e Anita Raja, traduttrice italiana di Christa Wolf. L’introduzione sarà a cura di Annarosa Buttarelli.

In che senso lei sostiene che Jane Austen tiene tra le sue mani il desiderio di felicità di una donna?

La felicità mi è sembrato il tema centrale di tutte le narrazioni di Austen perché lei ha in mente di raccontare le forme che può prendere la libertà femminile in un contesto di necessità. La sua scrittura ha la forza che nasce dal racconto della materialità delle vite senza che mai questa sia un condizionamento definitivo. E lo fa a partire da sé. È una scrittrice non della emancipazione ma della libertà: scrive sapendo che a fare la differenza non è la «condizione patita», ma la posizione che come autrice sceglie. E la libertà che regala a se stessa è la medesima che regala alle sue protagoniste e a noi che leggiamo dandoci la possibilità di interrogare anche il nostro presente.
Mi ha sempre appassionato la sua straordinaria modernità, la capacità di aver capito il suo tempo, quel mercato matrimoniale che nasconde una verità profonda: ovvero come alla base del contratto sociale ci sia il contratto sessuale. In questa intuizione è chiaro come lei abbia capito i meccanismi generali del mercato in sé, ovvero che si contratta da ciò che si ha e da ciò che si è; ed è solo imparando a conoscere questo meccanismo che le sue ragazze riescono a diventare protagoniste del proprio destino. Benché sia stata spesso considerata come una scrittrice indifferente alla grande Storia, in realtà ha colto l’essenza di una società divisa in classi e dominata dal patriarcato. Ma aggiungerei anche che la libertà di una donna, la sua ricerca di felicità, il riconoscimento del desiderio come movimento verso l’altro e verso il mondo, la capacità di scelta, il buonsenso come esercizio dell’intelligenza, la possibilità dell’errore, sono tutti segni della sua grandezza ancora oggi.

Nel suo libro lei spiega il passaggio da un’apparente «economia domestica» a una più ampia economia delle relazioni….

Nel momento in cui ho pensato che Jane Austen stesse scrivendo un romanzo di formazione femminile mi sono resa conto che questo avveniva perché solo attraverso una vera e propria presa di coscienza, e accompagnata da un’altra donna, la sua protagonista può acquisire la capacità di giudizio sufficiente a scegliere liberamente un buon marito ed evitare la «sventura». Questo passaggio, se da un lato contrasta fortemente ogni sentimentalismo e fantasticheria femminile, dall’altro indica con altrettanta chiarezza la capacità di Austen di mettere al centro del mondo le relazioni che legano le donne fra loro e le donne con gli uomini. Qui ci sono il piacere, il desiderio, la sensualità, l’erotismo e la sessualità: insomma le passioni, una straordinaria comprensione di tutti i sentimenti che legano i due sessi in amore e in conflitto.

Allora è proprio leggendo i suoi romanzi che possiamo conoscere Jane Austen?

La sua vita è stata molto comune, nessun elemento di eccezionalità, nessun eroismo. Non c’è nulla di nuovo dal punto di vista della sua biografia; c’è piuttosto da far vedere quanto tutti i suoi temi siano una vera e propria autobiografia. È lì che noi troviamo la sua lingua (di donna molto ironica), il suo sguardo (di donna acuta e spietata osservatrice), la sua intelligenza (di donna di buonsenso e allegra), la sua capacità di giudizio (inflessibile, sicuro, spregiudicato nel disegno preciso di una società senza dubbio patriarcale e divisa in classi).

Lei si è occupata lungamente di Virginia Woolf. La continuità simbolica tra Woolf e Austen la possiamo riconoscere per via della genealogia femminile e di una tradizione di scrittrici precedenti, sia per lo stesso interesse che muove Woolf verso Austen in più di un’occasione…

Credo ci siano delle comunanze tra le due: la più importante è che entrambe non sono scrittrici dell’emancipazione ma della libertà femminile. Pensiamo solo a come la passeggiata solitaria che non manca mai per ogni protagonista dei romanzi austeniani, e nasce subito con Marianne in Ragione e sentimento, sia di fatto un antecedente di Una stanza tutta per sé di Virginia Woolf, perché è utile a far pensare con la propria testa quando si è confuse, quando si ha bisogno di solitudine, quando si ha bisogno di consistere in sé. Passeggiata e stanza sono vere e proprie invenzioni simboliche.

La centralità della conversazione permea tutte le narrazioni austeniane. Cosa prende forma attraverso questi magnifici dialoghi?

Innanzitutto attraverso la conversazione lei si presenta a noi come una vera e propria erede di Shakespeare, nell’uso magistrale dei dialoghi, nel tempo delle battute e nel ritmo della lingua. Ma ancora più importanti mi sembrano altre questioni. Nei suoi romanzi non esiste conversazione se non in presenza di una donna. La conversazione fa progredire la trama come fosse un’azione vera e propria, per la formazione di una donna non c’è qualcosa da «fare» chissà quando e chissà dove nel mondo, ma qualcosa da «dire», che va detto, esattamente in quel tempo, che sono i giorni, e in quel luogo, salotto, giardino o stradina di campagna che sia. Questo uso della lingua mostra una maestria politica impareggiabile, in scena ci sono due soggetti differenti, entrambi attivi nello scambio, entrambi parlanti, e così muore ogni pretesa monologante e fonologica del maschile universale.

In che senso si riconosce a Jane Austen «la stessa condizione nella quale scriveva Shakespeare», ovvero «senza odio, senza amarezza, senza paura, senza protestare, senza far prediche»?

Questa constatazione è stata fatta da Virginia Woolf in La stanza tutta per sé, dopo aver affermato che, in Jane Austen, genio e condizioni di vita «si accordavano completamente», esattamente come in Shakespeare. È un’affermazione condivisibile se pensiamo che anche Jane Austen trascende la propria condizione materiale nello slancio di una mente «androgina» che vuole guardare l’infinito della sua libertà, ovvero non dimentica di essere una donna, ma trascende il suo sesso facendone la leva di una libera interpretazione del mondo.

Come viene accolto un volume di critica letteraria in Italia oggi?

Non mi sembra ci sia una grande attenzione. Sicuramente, ha a che vedere anche con la trasformazione dei programmi scolastici e universitari e delle stesse discipline. Questo incide sullo studio della letteratura che, a mio avviso, è uno dei più importanti ambiti in cui si possono conoscere e studiare le relazioni umane. L’indifferenza verso lo sviluppo di uno strumento come quello della critica letteraria riduce la possibilità di capire la straordinaria ricchezza dei linguaggi della narrazione, con la loro capacità di interpretare la realtà che ci circonda. In realtà sarebbe un momento necessario di ogni percorso di conoscenza.