Nel 2012 l’avevano sfiorato. Infatti, solo questioni economiche avevano allontanato Jan Garbarek dal Piacenza Jazz e dal festeggiare in modo sontuoso il suo decennale. Due anni dopo, nella cornice del Teatro Municipale di Piacenza, il sassofonista e compositore norvegese con il suo “group” ha chiuso, con un concerto di rara eleganza e profondità musicale, la prima metà del cartellone del festival emiliano che ha già ospitato il Danish Trio di Stefano Bollani, il batterista Dave Weckl in trasferta a Fiorenzuola, e si appresta la settimana prossima ad aprire con un altro musicista scandinavo, lo svedese Lars Danielsson con il suo New Quartet (sabato 23 maggio, Spazio Rotative, Piacenza).

Lo spiccio elenco di nomi evidenzia in modo lampante come uno dei motivi di questa edizione di Piacenza Jazz sia il cosiddetto “suono del nord”, definizione prelevata dal titolo del libro di Luca Vitali. A tal proposito, felice introibo al concerto di Garbarek, e’ stata proprio la conferenza presentazione di Vitali che partendo dalla punta di diamante del ‘movimento’, per l’appunto Garbarek come inventore di quel suono, con l’insostituibile aiuto di Manfred Eicher e della Ecm, ha cartografo la scena musicale jazz nordeuropea. Ma, poi la stessa per evolversi ha dovuto, anche per le caratteristiche dei paesi scandinavi, più di tutti la Norvegia, relazionarsi con le altre musiche del mondo.

Dunque, non solo jazz, ma anche pop, ethno-rock, elettronica, dub, noise, sono moltissimi i generi che affollano le menti musicali piu’ innovative di quella ‘fredda’ parte d’Europa a differenza della scena italiana jazz presa sempre più tra “guerre tra bande” a leggere l’ultimo editoriale di Luca Conti su Musica Jazz. Lo stesso Garbarek, fondatore di quel ‘suono’, dal ’78, data cruciale del suo percorso discografico e concertistico, si slega definitivamente dai luoghi natii: comporre tra i fiordi e’ diverso da suonare nei club di New York. Trent’anni e passa più tardi la stessa line-up del gruppo portato a Piacenza mostra come quel lontano distacco non e’ un timbro in piu’ sul passaporto, ma uno effettivo stato delle cose. In questo breve passaggio italiano lo Jan Garbarek Group conta con il leader, il fedele tastierista Rainer Brüninghaus, il bassista brasiliano Yuri Daniel – e il magnifico percussionista indiano Trilok Gurtu, già accompagnatore di Garbarek in alcune avventure discografiche di metà anni 80.

In molti ricordano Song for everyone, uno dei capolavori del sassofonista e tentativo di proseguire su quella strada di confluenze sonore tra Oriente e Occidente sperimentata da molti musicisti di diversa estrazione. E’, infatti, Trilok Gurtu il motore immobile della band, autore di trascinanti assoli e di una singolare performance cantata su un raga, punto piu’ alto del concerto, che Garbarek asseconda muovendo le sue inconfondibili frasi sonore come stesse giocando una partita a scacchi. Mentre pedoni di alto profilo restano Brüninghaus e Daniel con il loro sound che amalgama Eno, Sibelius e funk tropicalista.