È stato uno dei figli prediletti della scena americana dei primi anni ’70, grazie a un’autorevole scrittura che lo ha portato dalle parti del country rock al cantautorato puro, firmando alcune delle pagine più belle del songbook Usa. James Taylor, 66 anni, è in Italia per presentare il tour europeo: 26 date di cui 6 toccheranno il nostro paese ad aprile: Torino (18), Roma (19), Firenze (21), Trieste (22), Padova (24) e Milano (25). «La mia musica – spiega con un filo d’ironia – più semplice di così non si può. Io sono essenzialmente un artista folk faccio musica popolare, chitarra e voce, però la semplicità a volte funziona. Perché ha un’immediatezza che raggiunge facilmente. E la musica va aldilà di analisi cervellotiche e giudizi complessi, o ti arriva o non ti arriva.E segue rigorose leggi fisiche, diversamente da quello che accade per la parola è essenziale e ridotta al minimo comune denominatore. Non si può distillare ulteriormente ed è per questo motivo per cui riesce ad essere così diretta».
Per i concerti italiani Taylor ha scelto una superband composta fra gli altri da Steve Gadd, Larry Goldings e Michael Landau e una scaletta che non potrà fare meno di classici come Fire and Rain, Hey Mister..., Carolina in My Mind. Una carriera discografia inaugurata nel 1968 con un album pubblicato dall’etichetta dei Beatles, la Apple: «Avere la loro approvazione è stato fondamentale. Io ero un loro fan, li seguivo e studiavo le loro canzoni cercando di…rubacchiare qualcosa del loro talento». Ci saranno, rivela, anche novità: «Sto ultimando un disco che uscirà a giugno. Negli ultimi dieci anni ho pubblicato cinque cd ma non erano mie canzoni originali. Forse rispetto ai ’70 sento minore urgenza nell’esprimermi, però scrivere è ancora la cosa che preferisco e me ne sono reso conto in questi mesi componendo pezzi che mi hanno riportato a quei tempi».

Nella home page del sito di James Taylor appare in questi giorni una lettera scritta di suo pugno sui fatti di Charlie Hebdo: «Come cittadino del mondo sono profondamente commosso da quanto accaduto. Ma allo stesso tempo nutro grande speranza dalla risposta data dai francesi e dalla comunità internazionale che ha parlato con una sola voce. L’intenzione era dividerci ma la risposta è stata di unità e coraggio». L’assenza di Obama o almeno di una personalità di spicco del governo americano alla manifestazione parigina ha creato polemiche: «Sono rimasto sorpreso anch’io che gli Stati uniti non abbiano mandato una delegazione più importante», e diplomaticamente aggiunge: «Ma io sono un musicista, non un esperto di cose internazionali».

James Taylor, che due anni fa si è esibito ai funerali delle vittime dell’attentato di Boston, ha una posizione molto forte sulla proliferazione delle armi nel suo paese: «Sono troppe ed è inevitabile che qualche pazzo alla fine le usi. C’è però una differenza essenziale tra un folle e coloro la cui pazzia è sostenuta da movimenti più ampi in campo politico. Quindi tra chi commette un atto violento come questione di principio e un pazzo, trovo più pericoloso il primo…».