Partito popolare e partito socialista assieme non raggiungono nemmeno il 50% dei voti in Spagna, contro l’80% di cinque anni fa. Ma il Pp con toni entusiasti, che tradiscono i timori della vigilia, si dichiara «vincitore» con un misero 26% dei voti – due anni fa alle politiche ne aveva ricevuto il 44%. Dal 2009 a oggi, il Pp ha perso due milioni e mezzo di voti.

Nonostante questo, la segretaria generale del partito, Maria Dolores de Cospedal, ha dichiarato che assieme alla Cdu tedesca, il Partito popolare è l’unico partito al governo in Europa che sia stato sostenuto dai risultati nell’urna. I socialisti crollano al 23%, e mandano un terzo di deputati in meno (14 contro 21). Izquierda Unida si conferma terzo partito con il 10% – nel 2009 aveva un terzo dei voti di oggi – e passa da 2 eurodeputati a sei.

Straordinario risultato di Podemos, una lista di sinistra nata dal basso attraverso primarie popolari e capeggiata dal mediatico Pablo Iglesias, che contro tutte le previsioni (che gli attribuivano non più di un deputato) manda ben 5 deputati a Bruxelles con quasi l’8 per cento dei voti. UpyD, partito centrista, che persegue politiche di destra ma che viene considerato «partito di protesta», arriva al 6,5% (4 deputati).

La coalizione nazionalista di destra «moderata» capeggiata dalla catalana Convèrgencia i Unió e dal basco Pnv, mantiene i suoi tre eurodeputati mentre Esquerra Republicana, che sfidava CiU per la leadership catalana, ne manda due da sola. Seguono a ruota l’altra lista catalana centralista, «Cittadini», alternativa ai principali partiti catalani, che entra nell’Europarlamento con due deputati, «I popoli decidono», coalizione fra i nazionalisti di sinistra, guidata da un partito galiziano, il BNG, e uno basco, Eh-Bildu, confermano il loro seggio all’Europarlamento e, ultimi, i verdi di Primavera Europa, entrano con un seggio (1.9% dei voti).

Importante ricordare che le elezioni europee sono le uniche, in Spagna, che si calcolano su un collegio nazionale unico e pertanto, al contrario di quanto accade nelle politiche, il numero di deputati riflette proporzionalmente il numero dei voti ricevuti (senza soglia). In questo modo un totale di dieci partiti, contro i sei del 2009, entrano nell’Eurocamera. Dei 54 deputati spagnoli, secondo i primi calcoli, se ne iscriveranno in gruppi di sinistra (socialisti, verdi, sinistra) almeno 28.

Rimane fuori per un soffio Vox, l’estrema destra nata da una costola del Pp (all’1.6%). Il Partito X, capeggiato da Hervé Falciani, l’informatico svizzero che fece filtrare la lista dei grandi evasori europei ai vari governi e che un giudice spagnolo si era rifiutato di estradare in Svizzera, arriva solo allo 0.6%.

Contro tutte le previsioni che davano l’astensionismo al 60%, la partecipazione è stata leggermente superiore a quella del 2009, 45.6% (+0.7%). Boom in Catalogna, dove l’affluenza alle urne aumenta del 10% rispetto al 2009 (quando fu particolarmente bassa) e sfiora il 48%. La partita in questa comunità autonoma si giocava anche sul dibattito indipendentista e sulla leadership sul governo.

Per la prima volta il partito con la maggioranza relativa nella comunità è Esquerra Republicana col 23.7%, superando i democristiani di CiU, attualmente al governo, che si fermano al 21.9%, mentre i socialisti (che erano prima forza nel 2009) crollano al 14%. I rosso verdi di Icv, alleati catalani di Izquierda unida, sono al 10.3%, superando per la prima volta i popolari.

In questo modo il blocco di partiti favorevoli al cosiddetto «diritto a decidere», cioè il referendum da celebrare – come promesso da CiU e Esquerra – il 9 novembre, esce rafforzato.