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È appena passato un fine settimana cruciale per la sinistra spagnola. Sabato è stato il grande giorno di Podemos, la nuova formazione che sta rivoluzionando il panorama politico iberico: in un’affollatissima assemblea a Madrid (presente anche Alexis Tsipras) si è ufficialmente sancita la sua trasformazione in un partito «vero», guidato ovviamente dal carismatico 36enne Pablo Iglesias, eletto segretario a larghissima maggioranza. E domenica è stata la volta di Izquierda unida (Iu), la federazione di cui è parte il Pce: i suoi organismi hanno deciso che a febbraio si terranno primarie aperte a iscritti e simpatizzanti per scegliere chi la guiderà alle prossime politiche, previste fra un anno. Ma la vera notizia è che il coordinatore di Iu, Cayo Lara, ha annunciato tra le lacrime che non sarà della partita: via libera, dunque, al 30enne Alberto Garzón, ormai non più soltanto «astro nascente» del movimento.

Il passo indietro di Lara (62 anni) è un segnale chiaro. Iu è in affanno e «subisce» l’ascesa di Podemos, che rischia di fagocitarla: per evitare un simile esito la «vecchia guardia» si sta facendo da parte per favorire una possibile, ma non scontata, convergenza con il neonato partito. Garzón, brillante economista marxista e orgoglioso militante del Pce, non è certo un fatuo «nuovista», ma rappresenta comunque una delle poche figure di Iu in grado – per cultura, linguaggio, storia e appartenenza generazionale – di intendersi con il gruppo di Iglesias. E lavorare quindi a una coalizione (o lista unitaria) con loro. Anche Garzón viene dal movimento degli indignados (per gli spagnoli il «15-M») ed è parte della stessa schiera di giovani accademici precari che si barcamenano come possono nelle università iberiche impoverite dall’austerità. È attivissimo e molto seguito sul web, e vanta un’intensa attività pubblicistica insieme ai due più importanti economisti critici del Paese: Juan Torres López e Viçenc Navarro. Guarda caso, i due esperti che Podemos ha chiamato a coordinare il suo gruppo di lavoro sull’economia.

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L’avvicendamento generazionale (senza tossine «all’italiana») rappresenta per la Spagna uno schema ricorrente nei periodi di cambiamento: alla fine del franchismo emerse una nuova generazione di giovani socialisti guidati da Felipe González, anch’egli all’epoca poco più che 30enne. Non è un caso che siano sempre di più quelli che pensano che il Paese iberico sia alla vigilia di una stagione di grandi novità: Iglesias ha esplicitamente parlato di «un nuovo processo costituente». Persino il nuovo segretario socialista, la «camicia bianca» Pedro Sánchez, afferma di voler cambiare profondamente (in meglio) la Costituzione del post-franchismo. L’unico partito che difende l’insostenibile status quo, anche nella relazione fra stato centrale e Catalogna, è il Pp di Mariano Rajoy, che, secondo un sondaggio dell’istituto Metroscopia, oggi sarebbe solo la terza forza, con il 20%. Dietro al Psoe (26%) e a Podemos, clamorosamente primo, al 27%.