Non riesce a completare per intero la magia, Ivan Fischer. Non fa in tempo ad abbassare le braccia, sull’accordo conclusivo della Terza sinfonia di Mahler, che si scatena un uragano di applausi. Si infrange la tensione accumulata nei movimenti precedenti dal pubblico del Parco della Musica, derubando tanti commossi ascoltatori di quel momento sublime, sacrale, della sospensione trepidante prima che la bacchetta scenda giù inerte.

Ma è anche facile intuire l’urgenza di sfogo di un pubblico ridotto progressivamente al silenzio – i colpi di tosse inghiottiti in singulti – nel succedersi delle sezioni della gigantesca opera «mondo» mahleriana e infine travolto da quell’ultimo, toccante afflato di elevazione spirituale, il sesto movimento con cui Mahler chiude la sinfonia sul canto degli archi. Ritorna infatti trasfigurato e terso il tema del primo, amplissimo movimento, si chiude il cerchio iniziato con il lungo viaggio nei segreti della natura, che passa nei movimenti successivi nei precordi dell’uomo, alla ricerca di quel significato segreto che non solo la Budapest Festival Orchestra e Fischer sembrano aver colto, ma che sono stati capaci di mostrare al pubblico della Sala Santa Cecilia domenica pomeriggio con una partecipazione, una misura e un’esattezza prossime alla perfezione.

Bastava forse l’attacco all’unisono dei corni che apre la sinfonia per intuire che si trattava di un’interpretazione fuori dall’ordinario: il primo di molti momenti in cui l’orchestra, co-fondata dallo stesso Fischer nel 1983 con i migliori musicisti magiari e rimasta faro luminoso di cultura anche nei momenti difficili di questi anni, ha mostrato la capacità di suonare come un unico formidabile strumento. Rimangono impressi il guizzo degli incisi dei fiati, il lamento malinconico del corno di postiglione, la duttilità degli archi nell’assottigliare il suono.

Il fragoroso applauso alla fine del movimento diceva molto ma era solo l’inizio: Fisher, gesto asciutto, minuzioso e leggibilissimo, lascia che il racconto dell’anima umana nel suo confronto con la natura fluisca sorgivo, approfitta a tratti dei dettagli del programma che Mahler ha tracciato e poi cancellato dalla partitura, senza immiserirlo in calligrafie o bellurie, accompagna mirabilmente la voce morbida del contralto Gerhild Romberger sul canto del testo di Nietzsche.

Esalta infine le potenzialità del Coro e delle Voci bianche di Santa Cecilia, nel glorioso quinto movimento acceso di luce gioiosa e magnificamente reso dai complessi romani (preparati da Ciro Visco), che seguono l’orchestra ungherese nella breve tournée italiana, questa sera in chiusura al Bologna Festival dopo il passaggio alla Scala di Milano.

Si snoda infine sulla sala ammutolita la melodia ipnotica degli archi del sesto movimento: dopo i tanti interrogativi di un viaggio musicale che si immagina possa cambiare, seppure per breve momento, l’animo di chi lo ascolta, ogni domanda sembra trovare, definitiva risposta.