La «manovrina» per evitare l’aumento dell’Iva è saltata all’ultimo momento, a tarda sera. Le difficoltà del governo Letta per la verifica chiesta dal premier con il Pdl, hanno fatto saltare un decreto che era già pronto e che stanziava il miliardo necessario. «Non ci sono le condizioni politiche, prima serve un chiarimento in Parlamento», è l’opinione filtrata ieri dal consiglio dei ministri, condivisa da tutti i ministri. Lo stesso Letta, avrebbe dichiarato che «da questa riunione mi aspetto un chiarimento definitivo, non è possibile esaminare ora alcun provvedimento economico, né tantomeno il rinvio dell’aumento dell’Iva».

Il decreto però ieri sera era pronto, e stanziava 1 miliardo per l’Iva, oltre a 330 milioni per coprire tutta la cassa in deroga del 2013; e ancora: 35 milioni per rifinanziare la social card e altri 120 per compensare i Comuni dal mancato gettito Imu. L’aumento dell’Iva, va ricordato, non si scongiurerebbe per sempre: slitterebbe al prossimo 1 gennaio, e per evitarlo per l’intero 2014 saranno necessari 4 miliardi di euro.

Graziate le sigarette, che non dovrebbero aumentare ulteriormente, le coperture per il mancato rialzo dell’Iva a ottobre secondo la bozza di decreto sarebbero arrivate da una rimodulazione di altre tasse: l’aumento dell’acconto dell’Ires (al 103%) e dell’Irap per il 2013: non la tassa in sé, ma sarebbe comunque più gravoso per i contribuenti. E inoltre, punto certamente più caldo, avrebbero subirto un incremento le accise sui carburanti: di 2 centesimi al litro fino al dicembre 2013, e poi fino al 15 febbraio 2015 di 2,5 cent litro.

Era pronto a calare, invece, dal 25 al 20% il prelievo per la «definizione agevolata», di fatto una sanatoria sul contenzioso tra lo Stato e i concessionari dei giochi. La norma, che prevede la possibilità di modifiche alle istanze di definizione entro 10 giorni dall’entrata in vigore del decreto, punterebbe a «blindare» l’incasso, dando certezza a chi presenta l’istanza sulla somme dovute che non potranno essere inferiori al 20% del danno quantificato in primo grado.

Il governo era quindi pronto ad accogliere le richieste delle associazioni dei commercianti, mentre avrebbe scontentato gli industriali, più penalizzati. L’ultimo a chiedere lo stop all’aumento era stato Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio, ieri mattina: «Anche se alcuni indicatori come ad esempio l’export e la fiducia delle famiglie e delle imprese cominciano a dare segnali di risveglio, ancora latitano gli effetti sull’economia reale – aveva detto – Noi confermiamo le stime di marzo con il Pil a -1,7% e i consumi a -2,4%. Bisogna far ripartire la domanda interna e per questo si deve scongiurare il previsto aumento Iva».

Le imprese manifatturiere, come ha ricordato il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi sottolineando che lo stop all’Iva «non è la priorità mentre lo è il taglio delle tasse sul lavoro», si vedrebbero penalizzate dalla coperture finanziarie: l’aumento degli acconti Ires e Irap di novembre, che darebbe 890 milioni allo Stato, non è come detto un aumento dell’entità della tassa, ma creerebbe difficoltà in un momento di bassa presenza di liquidità.

L’anticipazione, spiega il segretario della Cgia di Mestre Giuseppe Bortolussi «in una fase economica così difficile e di scarsa liquidità, richiederebbe un ulteriore sforzo alle imprese che risulta eccessivo».

Preoccupati si dicono anche i consumatori. Secondo il Codacons, l’aumento delle accise sarebbe «disastroso», con una stangata, l’anno prossimo, da 275 euro a famiglia: «Senza contare gli effetti indiretti sui prezzi al dettaglio, considerati arrotondamenti e aumento dei listini dei prodotti trasportati».

Critica anche l’Unione Petrolifera, associazione che riunisce le compagnie petrolifere: «Aumentare il costo dei carburanti è irresponsabile», afferma, anche perché come dice l’amministratore delegato di Eni, Paolo Scaroni, «i consumi sono in continuo calo».