Economia

Iva o non Iva: lo scontro sulle clausole è già elettorale

Iva o non Iva: lo scontro sulle clausole è già elettoraleL’audizione sul Def del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan – LaPresse

In commissione Padoan: «Non serve una manovra ad hoc». Ma M5S insiste: «No, c’è intesa tra i partiti». E per il Pd basta il bilancio 2016. «Crescita frenata dall’incertezza politica». Il ministro dell'Economia riconosce che in questi anni «il disagio sociale non si è arrestato»

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 9 maggio 2018

La richiesta di una manovrina extra per sterilizzare le clausole di salvaguardia – pari a 12,4 miliardi di euro nel 2019 e a 19 nel 2020 – è stata respinta ieri dal ministro dell’Economia in carica Pier Carlo Padoan ascoltato ieri nella sala del Mappamondo di Montecitorio davanti alle commissioni speciali di Camera e Senato. «C’è una diffusa volontà di disinnescarle, anche da parte mia – ha detto Padoan – ma facendolo nei modi appropriati». E cioè nella nota di aggiornamento del Def che aggiornerà i saldi già previsti e definirà il profilo della legge di Bilancio che dovrà essere approvata al termine – si presume – della legislatura più pazza della storia repubblicana da parte di un governo «neutrale» che, al momento, non è sostenuto da un parlamento dove il voto del 4 marzo ha prodotto due vincitori senza maggioranza.

VISTO CHE SIAMO tornati in campagna elettorale, e i lavori sul Def che dovrebbero concludersi il prossimo 17 maggio, sono l’unica attività politica tangibile nella sospemsione tra un voto a luglio e uno a dicembre, ieri l’oscuro ma ricorrente tema del disinnesco degli aumenti Iva al 24% è diventato l’occasione per dimostrare la «responsabilità» dei partiti che si preparano al prossimo voto.

LA MANOVRA «ad hoc», prima della legge di Bilancio, è un’ipotesi sostenuta dal «capo politico» del movimento 5 stelle Luigi Di Maio secondo il quale l’aumento dell’Iva andrebbe scongiurato a prescindere, cioè senza aspettare la formazione di un nuovo governo, ricorrendo a un decreto legge. L’unico governo in carica è ancora quello guidato da Paolo Gentiloni, il cui ministro dell’Economia Padoan ieri si è incaricato di illustrare un documento di economia e finanza «tabellare». E ha rinviato la questione dell’Iva – uno dei temi più gettonati degli ultimi giorni – alla manovra d’autunno. L’unica emergenza per la crescita che «sta rallentando» semmai arriva dai dazi promessi da Trump. In effetti un ostacolo per la crescita italiana trainata dalle esportazioni e dal «Quantitative easing» della Bce che ha dato respiro alle finanze pubbliche. Salvo poi, con Renzi, investire i nuovi denari in piogge di bonus, dagli 80 euro agli sgravi per le imprese che (non) hanno assunto con il contratto «a tutele crescenti» del Jobs Act. Senza contare che la manna monetaria, prima o poi, finirà.

L’AUDIZIONE di Padoan è stata «deludente» ha detto Lorenzo Fioramonti, deputato M5S, già candidato in pectore al ministero dello Sviluppo economico. «Siamo pronti a una convergenza immediata per disinnescare le clausole». Da parte del Pd, e degli altri partiti, non ci siano esitazioni, questa la richiesta. Invito respinto da Francesco Boccia, capogruppo Pd in commissione, per il quale basta il bilancio approvato nel 2016 . La montagna di miliardi sospesi sarebbe stata ridotta di quasi 11 miliardi complessivi con vari decreti legge. A questo proposito il Pd propone solo una risoluzione unitaria.

DI «RISCHI» dovuti all’incertezza politica ha parlato anche Padoan nel suo, probabile, ultimo intervento da ministro. Qualcosa non ha funzionato in una politica celebrata, ancora ieri, come necessaria. Siamo «fanalini di coda» in Ue per la crescita, ha detto, anche se, immancabilmente, la strada presa è quella giusta. Percorrendo il tragitto Padoan è stato colto da un momento di «parresia» quando ha riconosciuto che, negli ultimi anni, «il disagio sociale non si è arrestato» e che le disuguaglianze «sono cresciute», «è aumentato il divario tra chi stava bene e chi male già prima della crisi». La politica economica dovrebbe migliorare la «propria cassetta degli attrezzi» ha detto. Gli indicatori del «Bes» per esempio. Dopo avere alluso a un’idea di «sviluppo sostenibile», ci si chiede perché questo slancio non si sia visto strada facendo. «Padoan non vede la realtà» hanno detto le varie maggioranze ieri. E, forse, hanno ragione. Oppure l’ha vista troppo tardi. Dopo il voto del 4 marzo che ha travolto il Pd.

L’«OTTIMISMO» del ministro è stato criticato anche da Renato Brunetta (Forza Italia) secondo il quale i governi «di centrosinistra» non sono riusciti a disinnescare le clausole per «negligenza e incapacità». Clausole lasciate in eredità dal governo Berlusconi nel 2011. Stefano Fassina (LeU) si è scagliato contro gli obiettivi «tendenziali» di deficit: «sono irrealistici e pericolosi per l’economia reale» ha detto. Fassina propone di alzare gli obiettivi programmatici al 2% e di rinviare la sterilizzazione delle clausole al 2022 per finanziare investimenti pubblici a Sud. Sipario.

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