L’ultima sparata elettorale di Donald Trump è rivoltante. Senza mezzi termini, rivolta lo stomaco. Perché rivolta uno dei principi su cui si fonda l’America. Il diritto alla cittadinanza americana per nascita.
Il birthright. Lo ius soli.

Che il presidente statunitense dichiara con enfasi di voler cancellare. È il principio garantito dal 14mo emendamento, che fu adottato nel 1868 per proteggere i diritti di cittadinanza agli schiavi liberati. Quindi un principio costituzionale di fortissimo significato simbolico. Oltre a essere uno dei capisaldi giuridici di una nazione fondata storicamente da immigrati e cresciuta e sviluppatasi grazie a nuovi arrivi di immigrati, dei loro figli, dei loro discendenti.

Centocinquanta anni di storia liquidati con la stupida boria del comiziante che cerca disperatamente voti, col solito repertorio retorico del demagogo che agita lo spettro dell’invasione. Sì, l’invasione, così s’è espresso urlando nel suo tour elettorale contro la “caravan” dei centramericani diretti verso il confine americano. Verso i quali non sa fare altro che erigere nuovi muri e ora inviare migliaia di soldati come per una nuova guerra americana.

«Il suo linguaggio ha incoraggiato l’odio e la paura degli immigrati, che è parte della ragione per cui queste persone sono state uccise», ha detto Marianne Novy all’inviata di Time, facendosi portavoce della rabbia degli ebrei di Pittsburgh nei confronti del presidente, sgradito nella città dell’eccidio di sabato scorso.

Ripetiamo: è solo una sparata elettorale. Cancellare il birthright non può essere fatto con un executive order, come pretende e promette Donald Trump. Richiederebbe una lunga e complessa procedura di revisione costituzionale.

Ma è una sparata che da metafora produrrà altri spari reali, in un’America armata, sempre più armata, che s’avvia al voto di medio termine in un clima che è un misto conflittuale e surreale di paura e di voglia di liberarsi della paura. Di liberarsi di Trump.