«Starei attento a parlare di ius soli, perché il rischio è di vedere una gran quantità di donne venire in Italia a partorire solo per dare la cittadinanza ai propri figli. Meglio uno ius soli temperato dallo ius culturae. Non possiamo fare in modo che l’Italia diventi un Paese dove sbarcano le puerpere per ottenere la cittadinanza italiana dei figli».

Nel Parlamento che sostiene il governissimo succede anche che il presidente del Senato Pietro Grasso, in quota Pd, esprima le stesse perplessità della Lega riguardo la proposta della neo ministra Cecile Kyenge. Certo i toni sono decisamente diversi ed è pur vero che al mondo c’è un solo Paese – gli Stati uniti, dove non a caso il welfare di Stato praticamente non esiste – che per dispensare lo status di cittadino richiede null’altro che emettere il primo vagito in loco. Purtroppo però da noi sui diritti della seconda generazione degli immigrati si continua a battere il solo tasto della paura.
Per il governatore leghista del Veneto, Luca Zaia, per esempio, il rischio dello ius soli è di avere «cittadini che non parlano italiano e non sanno niente dell’Italia». Come parecchi “padani”, d’altra parte, ma questa è un’altra storia.

Invece Maurizio Gasparri, vice di Grasso, suggerisce alla ministra Kyenge di usare «prudenza» e di abbandonare la strada della «accoglienza indiscriminata», che è «sbagliata e non percorribile»: «C’è semmai la necessità da parte del governo – dice riproponendo un vecchio refrain Pdl – di intensificare i controlli, di contrastare la clandestinità, di intervenire in tutte le situazioni che richiedono maggior fermezza e vigilanza».
Difficile dire se la sua è una posizione di comodo, compiacente con la base elettorale del proprio partito, anche perché, effetto-Balotelli a parte, da Sky Tg24 in poi sono molti i sondaggi in rete che registrano una maggioranza di favorevoli ad una nuova legge che ampli il diritto di cittadinanza per i nati in Italia da genitori stranieri.
Molto probabilmente il vicepresidente di Palazzo Madama parla invece per pura convinzione personale, tanto che pur accogliendo l’esplicito invito del senatore Pd Stefano Vaccari ad esprimere a nome del Senato la «ferma condanna» per le «frasi razziste» pronunciate contro la ministra Kyenge, non ha avuto il coraggio di seguirlo al punto di chiedere a Bruxelles «un’azione esemplare» contro l’europarlamentare leghista Mario Borghezio, i cui «attacchi discriminatori e razzisti» (parole di Vaccari, applaudite dall’Aula ieri mattina) sono «espressione della più greve e vile sottocultura, che ha purtroppo derive anche nazifasciste».

Per fortuna ci penserà Articolo 21, l’associazione che in meno di una settimana ha raccolto on line 113 mila firme «per chiedere dimissioni e sanzioni contro l’esponente del Carroccio che pochi giorni fa ha insultato, con espressioni palesemente razziste il neo ministro dell’Integrazione Kyenge», come racconta il direttore Stefano Corradino.

Presto le consegneranno al presidente Martin Schultz perché, Borghezio è «per di più membro della Commissione per le libertà civili… Pertanto le sue dichiarazioni, oltre ad essere una grave offesa al neo ministro, dovrebbero essere considerate un oltraggio al parlamento europeo, l’istituzione legislativa della Ue e ai suoi principi fondanti».
Chissà se per una volta l’Italia riuscirà ad intavolare un dibattito serio sull’argomento e, perché no, coinvolgere tutta l’Europa. D’altra parte, anche se con sfumature diverse, in quasi tutti i paesi del vecchio continente il diritto alla cittadinanza passa poco attraverso la linea di sangue. Per essere tedesco, per esempio, basta nascere in Germania da un solo genitore residente da otto anni e con un permesso di soggiorno da tre. Forse anche per questo il flusso di immigrati dall’Italia verso Berlino è tornato considerevole.