Alla fine sulla necessità di garantire un diritto è prevalsa l’esigenza di far sopravvivere il governo, ancora per qualche mese. Lo ius soli temperato, la riforma che se approvata permetterebbe a più di 800 mila ragazzi figli di immigrati di diventare cittadini italiani, è stata archiviata forse per sempre, sacrificata in nome della stabilità.
La parola fine a un tormentone che, tra un rinvio e l’altro, si è protratto per quasi due anni, l’ha messa ieri pomeriggio il senatore Luigi Zanda che chiaramente ha dovuto fare i conti anche con i dissensi presenti anche nel Pd. «La maggioranza non ha i voti per approvare lo ius soli», ha detto il capogruppo dem durante l’ufficio di presidenza. E’ quello che volevano Lega, Forza Italia e FdI, da sempre contrari alla legge, ma anche Ap, il partito dell’alleato Alfano che non ha neanche dovuto fare lo sforzo di opporsi alla proposta di inserire il ddl sulla cittadinanza tra quelli all’esame dell’aula. E infatti il provvedimento viene semplicemente fatto sparire anche dal calendario dei lavori in programma per settembre. Ma lo ius soli non è l’unica legge che potrebbe finire impantanata. A rischio sono infatti anche il testamento biologico, l’abolizione dei vitalizi, per la quale è stato previsto solo l’inizio dell’iter in commissione Affari costituzionali, e la legalizzazione della cannabis per uso terapeutico.

«Una vittoria della Lega e del buon senso. La nostra battaglia va avanti, grazie Amici! La cittadinanza non si regala» esulta su Twitter Matteo Salvini a riferendosi al ddl sulla cittadinanza, mentre il coordinatore di Mdp Roberto Speranza definisce la decisione del Pd «una resa culturale inaccettabile e un cedimento alla destra».
Che sarebbe finita in questo modo era quasi scontato. La rinuncia del Pd a difendere la legge arriva mentre nella piazzetta davanti Montecitorio alcune decine di giovani aderenti ai cartelli «L’Italia sono anch’io» e «Italiani senza cittadinanza» manifestano per ricordare a governo e parlamento l’impegno preso di far approvare il provvedimento. Ma i segnali che quell’impegno non sarebbe stata rispettato non sono mancati. Come il silenzio di palazzo Chigi, che nonostante la promessa fatta a luglio dal premier Paolo Gentiloni non ha posto la fiducia sulla legge. Ma anche le parole del segretario Matteo Renzi che due giorni fa ha di fatto scaricato ogni responsabilità sul futuro del provvedimento su Palazzo Chigi.

Spetta a Zanda, quindi, il compito di tirare le conclusioni del passo indietro maturato nel partito e nell’esecutivo. «La nostra posizione è nota, non abbiamo cambiato idea sullo ius soli, vogliamo approvare quella norma che resta per noi un obiettivo», spiega il senatore nella riunione dei capigruppo. «Però per approvare una legge serve una maggioranza che ora al Senato non c’è», conclude ammettendo tutta la fragilità della coalizione che tiene in vita l’esecutivo.

In realtà se il Pd volesse forzare la mano, i voti ci sarebbero. Oltre ai dem, favorevoli alla legge sono infatti anche il Mdp e alcuni senatori delle Autonomie, voti ai quali si aggiungerebbero anche quelli di Sinistra italiana pronta a votare una «fiducia di scopo» pur di arrivare al definitivo via libera del ddl sulla cittadinanza. Ma alle proteste delle sinistre Zanda replica secco. «Siete degli irresponsabili, volete andare in aula senza avere una rete di sicurezza per la legge».

«E’ una sconfitta – ammette amareggiata l’ex relatrice della legge, la senatrice Doris Lo Moro -. Con questa scelta il Pd mostra di privilegiare l’alleanza con Ap anziché rispettare gli impegni presi durante la campagna elettorale». Duro anche il commento della capogruppo di Si Loredana De Petris. «Questa volta non hanno fatto neanche la sceneggiata di dire che lo ius soli verrà approvato dopo la legge di stabilità – attacca la senatrice -. Quanto accaduto è molto grave: approvare la legge sarebbe servito anche a rispondere all’ondata xenofoba di questa estate, e il Pd non l’ha fatto».

Ufficialmente sulla legge «l’attenzione del governo resta molto alta», come assicura Anna Finocchiaro, ministro per i Rapporti con i parlamento, ma non è escluso che dietro la scelta di ieri ci sia anche il tentativo di scongiurare possibili inciampi durante l’esame della legge di bilancio. Intanto il Pd continua ad alimentare speranze che difficilmente potranno realizzarsi. Due giorni fa Zanda non ha escluso che a ottobre, tra il Def e l’arrivo in aula della manovra, possa aprirsi una finestra utile a discutere la cittadinanza. Ma il 5 novembre si vota in Sicilia, e difficilmente Renzi vorrà mettere a rischio l’esito della consultazione per una legge che – almeno stando ai sondaggi – non sembra piacere agli elettori.