Nei prossimi giorni tornerà alla Camera l’esame della nuova legge sulla cittadinanza proposta dal governo (Pd, Ncd, Scelta Civica) per facilitare – si fa per dire – quel diritto che si dovrebbe acquisire per nascita sul suolo italiano. Riguarda i bambini piccoli, i ragazzini nati in Italia che frequentano le scuole italiane e che da anni vivono e giocano con i loro coetanei indigeni. Difficile chiamarli stranieri, ma per il “nostro” paese non sono ancora italiani. Bene, era ora. Si tratta forse, finalmente, di una buona legge per accontentare almeno un poco quell’elettorato “di sinistra” che in questi due anni con Matteo Renzi al governo ha ingoiato di tutto? Tutt’altro. Le associazioni e le organizzazioni che più di un anno fa hanno promosso la campagna per i diritti di cittadinanza “L’Italia sono anch’io” parlano di “compromesso molto al ribasso”, dicono che è “meglio di niente”, e “ci aspettavamo qualcosa di più ma è un passo avanti”.

In effetti si tratta di una sotto specie di Ius soli all’italiana, un combinato di parametri restrittivi che disegna una corsa a ostacoli complicata per quei genitori che vorrebbero chiedere la cittadinanza per il figlio nato in Italia. Molto probabilmente ce la faranno le famiglie già integrate, con un reddito garantito e una casa decente (e con un figlio diligente: chi viene bocciato a scuola, infatti, non può diventare cittadino italiano). Insomma, come si sarebbe detto una volta, è un’idea di cittadinanza un tantino “classista”.

Il testo in discussione prevede il riconoscimento per nascita a quei minori che abbiano almeno un genitore in possesso di “un permesso Ue per soggiornanti di lungo periodo” (cinque anni). Dunque non basta più la residenza legale in Italia da almeno cinque anni. Inoltre, per ottenere la cittadinanza i genitori devono avere un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale, devono vivere in una casa che risponda ai requisiti di idoneità previsti per legge (anche igienico sanitari) e anche superare un test di conoscenza della lingua e della cultura italiana. In più, mamma e papà devono essere “non pericolosi per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato”. Insomma, chi è povero, chi è figlio di un lavoratore in nero, chi abita in una casa malmessa (per ovvi motivi), o chi è figlio di persone che hanno avuto a che fare con la giustizia non ce la farà mai.

Sarà possibile correggere il tiro? Difficile, anche se ieri, con una conferenza stampa convocata alla Camera, alla presenza della relatrice del ddl Marilena Fabbri (Pd), ventitré associazioni hanno chiesto che alla fine della discussione si arrivi a “una legge più avanzata”. In particolare viene contestato il fatto che il provvedimento si rivolga soltanto i minori escludendo di fatto coloro che qui in Italia ormai sono diventati adulti. Nel testo, infatti, ancora non è chiaro come verrà risolta la questione della retroattività: le nuove regole varranno solo per le persone nate in Italia dal momento dell’entrata in vigore della nuova legge o saranno valide anche per chi è nato qui in precedenza? Altro punto sgradito, il permesso di soggiorno di lunga durata, non fosse altro per il fatto che il 50% degli stranieri residenti in Italia ne è sprovvisto e quindi verrebbe tagliato fuori dalla nuova legge: “Il requisito è discriminante perché solo la metà dei bambini avrebbe diritto alla cittadinanza”, dice Kurosh Danesh della Cgil. Critiche sono state espresse anche su quella sorta di “reddito minimo” richiesto alle famiglie. Ciononostante, forse considerata la miseria culturale che ispira questa sorta di selezione della specie proposta dal governo, c’è anche chi tutto sommato si ritiene soddisfatto. “L’intesa della maggioranza sul ddl è un segnale positivo – spiega Isaac Tesfave della Rete G2 – e ora bisogna provare a migliorare il testo”. Anche la deputata di Sel Celeste Costantino sottolinea la stessa necessità e annuncia la presentazione di cinque emendamenti. Filippo Miraglia (Arci) punta il dito contro diversi elementi discriminanti del ddl ma non nasconde le difficoltà di ragionare sul tema delle migrazioni con questo governo, e con quello che si agita all’opposizione. “Non ci piace, ma è un passo avanti”.