È noto che la stampa calcografica abbia conquistato un posto centrale nella comprensione dello sviluppo delle idee agli albori dell’età moderna. Occuparsi dell’evoluzione del segnum inciso, in particolare la vasta produzione avvenuta dalla seconda metà del secolo XVIII fino alla prima metà di quello successivo, consente di comprendere, dopo l’ultima grande sintesi del periodo Barocco, la rivoluzione culturale che interessò le «belle arti» e che vide artisti appassionati del bulino contribuire in modo critico e originale alla lettura dei modelli dell’antichità classica.
Al vaglio dei «lumi» il classicismo proseguì quindi a esercitare con forza la sua attrazione e nelle dispute di letterati e philosophes fu sottoposto al giudizio di una miriade di correnti critico-filosofiche per verificarne la sua funzione guida nel processo della creazione artistica.

INTANTO NUOVE TENDENZE del gusto avanzavano sulla scena dell’arte influenzata da una pluralità di suggestioni e indirizzi a mano a mano che cresceva una sempre più estesa conoscenza del mondo, della scienza e della storia e una nuova consapevolezza politica si affermava in opposizione ai regimi assolutistici egemoni in Europa.
Intorno proprio a questo tema, in modo sintetico qui inquadrato, ruota la mostra La reinterpretazione del classico: dal rilievo alla veduta romantica nella grafica storica, curata da Susanna Bieri e Nicoletta Ossanna Cavadini, fino al 12 settembre al m.a.x. museo di Chiasso.

ATTRAVERSO UN ARCHEOLOGO ed erudito, Johan Joachim Winckelmann, e due maestri dell’arte incisoria, Giovanni Battista Piranesi e Luigi Rossini, l’esposizione svizzera incardina un percorso espositivo che accoglie altri autori che ancora fino a tutta la prima metà dell’Ottocento offrirono ai viaggiatori del Grand Tour il fascino e le emozioni dell’antico estendendo lo sguardo a diversi altri itinerari oltre Roma e i suoi dintorni.
Ammiriamo dunque le romantiche prospettive di Venezia e Firenze di Isidore-Laurent Deroy, i valichi alpini di Gabriel Lory, i luoghi ameni dei laghi svizzeri e italiani delle litografie acquarellate di Johan Jacob Wetzel, le vedute panoramiche di Francesco Citterio, Nicolas Chapuy o Friedrich Carl Vogel fino all’invenzione della scatola ottica che univa all’impiego portatile la gioia della vista binoculare prima che la fotografia scalzasse ogni forma di tecnica incisoria, compreso il «Polyorama da viaggio», come quello in mostra di Alexandre Depoletti con le Vedute di Roma (circa 1850).

La mostra, però, ha la «Città Eterna» quale soggetto dominante tant’è che oltre la macchina ottica con le «trasparenze» delle vedute piranesiane, gli altri tre «focus on» riguardano la letteratura archeologica e la scultura antica romane. In ogni sala, quindi, per segnare l’articolazione delle relazioni con la classicità, ecco la coppia dei Candelabri di marmo a pastiches (1784) eseguiti da Francesco Piranesi, figlio di Giovanni Battista e le due sculture Testa di atleta e Testa di Apollo copia la prima di età adrianea, la seconda tardo-flavia.

È CON LA SCELTA di queste due sculture che con esemplare efficacia didattica si spiega l’ideale di bellezza del Winckelmann, al quale già nel 2017, nel terzo centenario della sua nascita, sempre nell’attuale spazio espositivo, gli fu allestita un’importante mostra con il contributo del Museo archeologico nazionale di Napoli. L’accostamento delle due sculture fa bene intendere che per lo studioso tedesco la perfezione apollinea raggiunta nel sublime di Fidia, contiene in sé anche un qualcosa di psicologico che colpisce chi guarda. Lo studio dell’antico esula per lui dalla filologia per dirigersi alla scoperta di quei valori artistici che con la loro base etica necessitano al progresso dell’umanità.

Per raggiungere la verità della bellezza s’impone un diverso modo di imitare che sappia unire «nobile semplicità e calma grandezza» escludendo la fissità del modello. A tale scopo è idonea una rappresentazione grafica quanto più oggettiva (tecnica «a contorno», poi Flaxman) che come si rivela nelle tavole del suo Monumenti antichi inediti (1767) interpreti la bellezza universale nei suoi aspetti educativi e per nulla nostalgici.
Il carattere analitico dell’estetica winckelmanniana si scontrerà prima con l’arbitrarietà e lo sperimentalismo dell’Illuminismo (Hogarth, Lodoli, Milizia) in seguito si dissolverà nelle teorie del Sublime. Lo scetticismo, però, nei riguardi della tradizione dell’antico è già espresso da Piranesi che nelle sue acqueforti solo in apparenza si orienta «all’illustrazione apologetica del mondo classico» (Manieri Elia, 1982) mentre, e ne fa fede il suo Parere (1765), «mostra una libertà esplicitamente provocatoria».

LA DISTORSIONE delle leggi prospettiche nelle Vedute di Roma (1748) e nelle Carceri (1745 -1761) rifugge da qualsivoglia «bellezza idealizzata, statica e priva di sentimento» e come ci ricorda Ossanna Cavadini in catalogo (Skira) troppo «pittore» come gli rimproverava Giuseppe Vasi, il suo maestro d’incisione romano, per essere solo un vedutista per il mercato editoriale del Grand Tour.
L’ambiguità del comportamento di Piranesi nei confronti dell’antico, pur nell’assoluto convincimento del primato dell’arte romana su quella greca, è definita in mostra dal confronto tra il lungo foglio della Pianta di Villa Adriana (1781) e i due Candelabri di cui si è detto all’inizio. Lo scavo archeologico con lo studio analitico dei monumenti coesiste con l’assemblaggio arbitrario di reperti antichi e scolpiti ex novo: la riprova dell’evidente «scissione» del secolo tra analisi storico-archeologica e antistoricismo illuminista.

CON IL RAVENNATE Luigi Rossini la Roma dei primi decenni dell’Ottocento, perso il furor piranesiano, aggiorna il palinsesto delle scoperte archeologiche, ma avanza il topografo invece che l’artista. Le sue incisioni chiaroscurate sono somiglianti a quelle piranesiane ma l’invenzione si limita a qualche fantasia architettonica. I monumenti sono restituiti immersi a volte nel paesaggio, ma sempre «oggettivati» nella rappresentazione perché l’antico non s’imita, ma si studia.

A conclusione della visita si deve riflettere sulla tesi di Franco Venturi che nel «nome dell’antichità Roma non risorse». Le forme classiche divennero piuttosto «un’arma per spezzare una tradizione» quella repubblicana incarnata dalla storia delle sue «mille città», tradizione che affondava la sua storia nel medioevo e nel Rinascimento. Questa però è spunto di un’altra mostra.

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SCHEDA. Dal 21 agosto, al via «Cortonantiquaria»

Dal 21 agosto al 5 settembre si terrà la 59/a edizione della mostra sull’antiquariato più antica d’Italia a Cortona, «Cortonantiquaria». Sede privilegiata della manifestazione è il centro convegni sant’Agostino, edificio storico con una selezione di opere di pregio: mobili, porcellane, dipinti, statue in legno e marmo, oggettistica, tessuti, stampe, cornici, cristalli, argenti, arazzi, tappeti persiani di alta manifattura, stoviglie, gioielli. Promossa dal comune di Cortona e da Cortona Sviluppo, la manifestazione è l’evoluzione della originaria Mostra mercato nazionale del mobile antico, nata nel 1963 con la partecipazione di 14 antiquari e lo stanziamento pubblico di 150mila lire. A integrare la fiera 2021 ci saranno concerti, conferenze, spettacoli teatrali e presentazioni di libri in ottemperanza alle regole anti-covid. L’edizione attuale, improntata alla ricerca di elementi di interesse culturale e storico e di fattura eccellente, presenterà un raro esemplare di cassettone genovese «a bambocci», risalente al periodo a cavallo fra Cinquecento e Seicento; un armadio farnesiano in massello di noce di provenienza emiliana risalente al XVI secolo; un modellino architettonico in legno raffigurante teatro decorato con foglia d’oro zecchino su imprimitura e lacche policrome, del XVII secolo. Come mostra collaterale, « Dialogo fra Severini e Guttuso».