Italo Moretti, morto ieri a 86 anni, era uno dei “maestri” del giornalismo che si occupa di America latina. Per la verità, pochi colleghi da cui attingere metodo e stile: Saverio Tutino, Maurizio Chierici, Mimmo Candito, Roberto Savio, Gianni Minà.

Èda loro che noi della generazione di cronisti successiva abbiamo imparato molto. Per esempio, come non si deve rimanere chiusi in albergo a farsi raccontare dai taxisti quello che accade: bisogna correre dietro i fatti, farseli spiegare, interpretarli, raccontarli dal vivo.

Ho un bel ricordo di Moretti. Sempre gentile, elegante nei modi, disponibile a moderare un dibattito o a parteciparvi, mai spocchioso neppure quando fu chiamato a dirigere il Tg3 dal 1995 al 1998, paladino delle cause del giornalismo democratico, noto per la sua coerenza nella Rai delle lottizzazioni. Mi viene in mente un viaggio fatto a Cuba con lui, che nelle serate raccontava del Cile del generale Pinochet e dell’Argentina del generale Videla. Moretti aveva infatti vissuto da vicino la stagione dei golpe militari e degli eserciti che prendevano il potere in America latina. Quei paesi lontani aveva iniziato a frequentarli già nel 1968, a iniziare dal Messico dei Giochi olimpici (la polizia sparò sulla folla nella piazza delle Tre culture di Città del Messico e lui raccontò quella strage). Da inviato della Rai ha poi narrato quello che accadeva in quegli anni in Uruguay, Cile e Argentina. E’ stato tra i primi giornalisti ad arrivare a Santiago del Cile dopo l’11 settembre 1973, data del colpo di Stato contro Salvador Allende. Le sue cronache crude e realistiche su ciò che accadeva in quei giorni cileni restano nella memoria, come le sue testimonianze sui desaparecidos di Argentina.

Quando nel 1976 passò dal Giornale radio al Tg2 sotto la direzione di Andrea Barbato, iniziò a occuparsi dei fascismi europei in decadenza in Spagna e Portogallo. Lo ricordo a Madrid proprio a fine anni settanta, dopo la morte di Francisco Franco, a seguire i primi passi di una difficile transizione alla democrazia. Poi dal 1979 fu inviato nel Nicaragua della rivoluzione sandinista e dei Contras, oltre che in El Salvador dove si fronteggiavano guerriglia e durissima repressione. Incontrarlo era sempre un piacere, come sentirlo descrivere fatti e personaggi.

Italo Moretti è stato perciò un cronista/testimone di molti eventi dell’America latina negli ultimi cinquant’anni. Da qui, alcuni riconoscimenti: ha ricevuto da Raul Alfonsin, presidente dell’Argentina, e da Eduardo Frei, presidente del Cile, le onorificenze dell’Ordine di Maggio e dell’Ordine di Bernardo O’Higgins per il contributo informativo dato alla riconquista della democrazia. Diversi infine i premi giornalistici assegnatigli in Italia, tra cui quello alla carriera nel 2014 intitolato a Ilaria Alpi. Tra i suoi libri: L’Argentina non vuole più piangere. Da Perón a Kirchner (Sperling & Kupfer, 2006), I figli di Plaza de Mayo, (Sperling & Kupfer, 2002), In Sudamerica. Trent’anni di storie latinoamericane dalle dittature degli anni settanta al difficile cammino verso la democrazia). Da qualche anno aveva diradato gli impegni. La perdita di una figlia amatissima gli aveva tolto voglie e curiosità.

I funerali oggi a Roma, Basilica del sacro Cuore di Cristo Re, Viale Mazzini 32.