«Il Pd accetterà volentieri un clima di dialogo e confronto con gli altri partiti per verificare ipotesi di modifica a cui non ci sottraiamo». Quando parla della possibilità di cambiare la legge elettorale ormai Matteo Renzi usa l’ironia, si fa il verso . Ieri su Radio Capital all’ennesima domanda sull’Italicum ha risposto «in politichese» per sua stessa ammissione.
Nel pomeriggio il vicesegretario Lorenzo Guerini, un tempo detto ’Arnaldo’ e cioè Forlani dal premier non tanto per la provenienza politica ma per il talento di esprimere i concetti senza mai la volgarità di un eccesso di chiarezza, ai cronisti aveva fatto un ragionamento simile: prima del referendum «gli effetti si produrranno sulla base delle disponibilità delle altre forze politiche» le quali è ora che «dicano non solo su cosa non sono d’accordo, ma anche cosa vorrebbero fare». Tradotto: chi vuole cambiare faccia la sua proposta, vedremo, valuteremo.
Ma i conti sono già fatti: le due maggiori forze in parlamento, Forza Italia e M5S, non sono disponibili a cambiare la legge prima del referendum. La palla tornerebbe alla maggioranza di governo. E rimettere le mani su una legge senza la condivisione di almeno una parte dell’opposizione non avrebbe senso. Peraltro presto la Camera sarà impegnata sulla legge di bilancio. Conclusione: la nuova legge elettorale si farà dopo il referendum e il boccino lo avrà chi avrà vinto. Naturalmente prima si aspetterà la sentenza della Corte costituzionale.
L’attivismo di queste ore però può essere letto come il posizionamento per il dopo. Ieri i giovani turchi guidati da Matteo Orfini e Andrea Orlando hanno annunciato una proposta ispirata al modello greco, un proporzionale con un premio di governabilità che oggi permette alla Syriza di Alexis Tsipras di governare – nonostante le defezioni – grazie anche all’alleanza con il piccolo ma indispensabile partito nazionalista Anel. Va detto che nel frattempo il leader greco, fedele alle promesse elettorali, ha proposto di tornare al proporzionale puro. Orfini si affretta a spiegare che «l’impianto di fondo dell’Italicum non si tocca» e che «restano intatti i due capisaldi, ovvero che ci sia un chiaro vincitore la sera delle elezioni e la garanzia della governabilità». Ma la sua legge è senza ballottaggio. E non è poco.

Su questa proposta il presidente del Pd ha raccolto «l’interesse» di Maurizio Lupi a nome degli alfaniani. Che a loro volta preparano il loro testo, anche questa senza doppio turno. Dall’altra parte, quella di Sinistra italiana, c’è chi ammette che un modello «che torni nella sostanza a un impianto proporzionale può essere interessante». Ma in questa famiglia ci sono idee diverse. Ed è improbabile che si definiscano prima del referendum. Anche qui si tratta di aspettare di sapere se vince il Sì o il No. Nel primo caso il Pd renziano punterebbe a disgregare quest’area da far riaggregare poi intorno al ’dialogante’ ex sindaco Pisapia. In caso di vittoria del No, invece, sarebbe il Pd a rischiare di perdere pezzi – stavolta consistenti, c’è chi giura – dal suo fianco sinistro. Quello bersaniano. Che a sua volta propone il Mattarellum 2.0. Coalizioni prima o dopo il voto, dunque, la differenza non è da poco.

Si vedrà. Nel frattempo nel campo dem si palleggia. Lunedì alla direzione Renzi affronterà la questione ma, c’è da giurarci, senza andare oltre la «disponibilità» già annunciata. Le minoranze aspettano di ascoltarlo, ma già non la pensano allo stesso modo. Ieri Cuperlo e Bersani sono stati avvistati a colloquio in un corridoio della Camera. Il primo è più possibilista, il secondo considera i giochi chiusi fino al referendum (l’ex segretario e la maggioranza dei suoi voteranno No al referendum). La direzione con ogni probabilità darà mandato a Guerini e ai capigruppo di camera e senato di ’esplorare’ i partiti. Nel frattempo alla Camera potrà essere calendarizzata la discussione in commissione Affari costituzionali. Un altro modo perfetto per perdere tempo dando però l’impressione di andare avanti.