Di rinvio in rinvio, la legge elettorale procede a singhiozzo. Toccata e fuga in aula, poi tutto rinviato a oggi, per essere approvata domani o più probabilmente venerdì. Il Pd, nell’assemblea dei deputati (con molte resistenze), ha deciso di ritirare tutti gli emendamenti salvo quelli sulla parità di genere. L’Italicum, nella versione concordata da Renzi e Berlusconi, è così blindato. Però solo alla Camera. Verrà infatti approvata solo la legge per l’elezione dei deputati. Al Senato resterà invece in vigore quella derivata dalla sentenza della Corte costituzionale. Berlusconi ha accettato, pur manifestando «disappunto», la proposta che solo 24 ore prima i forzisti definivano più o meno irricevibile.

I due sistemi elettorali sono non diversi ma opposti. Solo l’inestinguibile fantasia (che alcuni definirebbero follia) dei politici italiani poteva ipotizzare due leggi elettorali opposte per le due camere, con annessa garanzia che, se si voterà prima della eliminazione del Senato, si creeranno due maggioranze diverse e sarà d’obbligo il ricorso a quelle larghe intese che tutti giurano di non voler mai più riproporre.

Matteo Renzi canta lo stesso vittoria: «Oggi è stato fatto un importante passo avanti. Il fatto che il Senato abbia o meno una sua legge elettorale è secondario perché il Senato verrà abolito». Più facile a dirsi che a farsi. Il sistema schizofrenico che sta per entrare in vigore premia infatti come nessun altro i piccoli partiti. Con una lista unificata hanno la possibilità piena di passare l’attuale soglia dell’8% al palazzo Madama. A quel punto i loro voti, sia se decidessero di correre da soli sia che entrassero in coalizione con Berlusconi, sarebbero determinanti. Si può star certi che si farebbero pagare a carissimo prezzo l’appoggio. Dunque non hanno alcun interesse a cancellare il Senato e faranno il possibile per evitarlo, coadiuvati in questo dall’istinto di sopravvivenza dei senatori di ogni gruppo e colore, nonché del funzionariato di palazzo Madama, il cui peso sarebbe assai ingenuo sottovalutare.

La decisione finale, al termine di un lunghissimo vertice con tutto lo stato maggiore forzista, la ha presa il cavaliere nel primo pomeriggio. Renzi si era di fatto schierato con l’asse composto dall’Ncd e dalla minoranza del suo stesso partito, e forse, stanti i rapporti di forza in aula, non avrebbe potuto fare diversamente. Di conseguenza a Forza Italia rimanevano solo tre opzioni: denunciare l’accordo e rassegnarsi a una legge elettorale varata solo dalla maggioranza, ipotesi che Berlusconi non ha voluto nemmeno prendere in considerazione; accettare l’emendamento Pisicchio, che avrebbe rinviato di un anno l’entrata in vigore della legge elettorale dando così tempo e modo di completare nel frattempo la riforma del Senato, ma senza alcuna garanzia di fare davvero in tempo; dare il semaforo verde all’emendamento del deputato pd D’Attorre, che proponeva di varare subito l’Italicum ma limitandolo alla Camera.
La discussione è stata lunga, i contatti telefonici con Renzi (ieri in Tunisia) continui, la condizione per cui almeno non si toccasse più il patto del Nazareno posta con fermezza, ma alla fine il sovrano di Arcore ha preferito acconciarsi al doppio sistema piuttosto che rinviare di un anno l’entrata in vigore della legge. Lo ha annunciato lui stesso, in un comunicato in cui rivendica «l’ulteriore atto di collaborazione, nell’interesse del Paese, a un percorso riformatore» e non manca di esprimere «grave disappunto» per «la difficoltà del premier di garantire il sostegno della sua maggioranza agli accordi».

Ufficialmente, Berlusconi ha preferito questa via a quella del rinvio perché rimandare di un anno, nelle considerazioni forziste, avrebbe significato un rinvio sine die della riforma del Senato mentre così sarà nell’interesse dello stesso Renzi accelerare il percorso, pena la garanzia di non-vittoria alle prossime elezioni. Il male minore insomma. In realtà è probabile che ci siano entrati anche calcoli più concreti: se si dovesse arrivare alle elezioni col doppio sistema, il centrodestra, nella peggiore delle ipotesi, tornerebbe al governo in nome delle larghe intese. Ma nessuno, in Fi, si fa illusioni. Questa mano ha un solo vincitore: Angelino Alfano