Incassata la botta degli emendamenti sulla parità di genere, tutti bocciati, i sempre meno numerosi sostenitori dell’Italicum nell’aula di Montecitorio hanno tentato in tutti i modi a tarda sera di salvare il salvabile. Con il metodo classico del rinvio.
Il relatore, la ministra e più di tutti Matteo Renzi avevano riempito le cronache delle ultime settimane sottolineando l’urgenza di concludere con questo progetto di legge. È già in ritardo rispetto al calendario originario del presidente del Consiglio, febbraio è passato, anche la prima decina di marzo scivolata via. A stare ai piani originari illustrati al Quirinale, la riforma del voto a questo punto doveva già essere superata di slancio per passare alle leggi sul lavoro. E invece quando ieri sera alle nove in punto anche la correzione più soft dell’Italicum, quella che puntava a riservare almeno il 40% dei posti di capolista alle candidate, è stata bocciata dal voto segreto, il destino della riforma si è in qualche modo compiuto. A questo punto (anche) per i misfatti di ieri ci sarà bisogno delle correzioni del senato. Che non sarà una buona legge era chiaro da quel pomeriggio in cui Berlusconi e Renzi si strinsero la mano nella sede del Pd; adesso c’è la certezza che non sarà neppure una legge veloce.
E così ancora frastornati proprio i primi tifosi dell’Italicum hanno chiesto di interrompere la seduta che, secondo le previsioni del mattino, doveva essere quella trionfale per portare alla prima approvazione la legge. Niente da fare, troppi rischi a sfidare la rabbia delle deputate. Sospensione, ha chiesto per primo il Pd. Forza Italia si è accodata e così il gruppo di Alfano. Rovesciate le parti, sono state le opposizioni – Lega, Movimento 5 Stelle e Sel – a chiedere di andare avanti, puntando a sfruttare il disorientamento della maggioranza.
La presidente Boldrini ha convocato una rapida conferenza dei capigruppo e ha poi chiesto all’aula di votare sulla sospensione. La maggioranza ha ottenuto una notte per tentare di aggiustare i suoi cocci, si riprende allora stamattina.
Si entrerà nel cuore della legge. E non sono poche le questioni ancora aperte sul tappeto. Quelle che mettono ancora a rischio il patto Renzi-Berlusconi. Intervenendo a proposito delle quote di genere, il bersaniano D’Attorre ha trovato anche il modo di ricordare le principali: liste bloccate e sistema delle soglie su tutte. «C’è bisogno di cambiare altre cose nella legge» insiste la minoranza Pd, che ha già imposto il dimezzamento della portata dell’Italicum, che a questo punto è destinato solo a cambiare il sistema di elezione della camera.
Giusti o sbagliati che fossero gli emendamenti sulle quote, la loro bocciatura ha dato una spallata a una legge già fragile. Che sta andando avanti solo grazie a forzature successive che prima o poi dovranno passare per il vaglio – annunciato come scrupoloso – del Quirinale. E prima ancora del senato, che assai difficilmente deciderà di suicidarsi senza combattere.
Prima del disastro finale, continue interruzioni della seduta di Montecitorio hanno punteggiato la giornata parlamentare. Il relatore Sisto ha avuto bisogno di fermare i lavori e riunire il comitato dei nove, quello dove sono rappresentati tutti i partiti, per tentare di risolvere gli intoppi. Un andamento paradossale visto che si tratta di una legge che liquidata frettolosamente in commissione, senza il tempo per esaminare gli emendamenti, perché l’asse Pd-Forza Italia sosteneva che tanto l’accordo c’era e bisognava fare presto.
Tutto questo perché il presidente del Consiglio vuole un primo sì alla legge elettorale, convinto che le brutte figure di queste ore saranno dimenticate. Ma oggi altri nodi verranno al pettine, con gli emendamenti sulle primarie obbligatorie e sulle preferenze. Un faticoso accordo invece è stato raggiunto sul numero di collegi (120) e sul cosiddetto salva Lega (ritirato). Oggi si può finalmente chiudere con la prima lettura. Mestamente.