Nella enews, che espone a minori rischi di contestazione rispetto a un comizio a Catania o a una passeggiata a Napoli, il presidente del Consiglio si compiace di aver «sparecchiato il tavolo da tutte le cose che impedivano una sana discussione di merito nel referendum». E queste cose sono, nel suo elenco: «La durata del governo e della legislatura, la legge elettorale». Tutte cose che «sul tavolo», però, aveva messo lui.

Era stato lui ad annunciare dimissioni immediate, dal governo e persino dalla politica, «il giorno dopo» un’eventuale sconfitta al referendum. Adesso spiega che la legislatura andrà avanti tranquillamente. Quanto al suo destino personale «non dico più cosa faccio». Dobbiamo indovinare. E poi la legge elettorale: «Non piace? E che problema c’è?». L’avesse detto quando l’ha imposto al parlamento, dove a tanti non piaceva, avremmo risparmiato almeno:

  1. L’emendamento Esposito che ha stroncato ogni emendamento al senato.
  2. La fiducia che ha fatto lo stesso alla camera.
  3. La sostituzione dei deputati dissidenti in commissione alla camera.
  4. La minaccia ripetuta di dimissioni.

La legge che «tutta Europa ci copierà» (non è successo) adesso si può cambiare. Ma adesso sono in pochi a credergli. Sembra non credergli neanche la minoranza Pd. Soprattutto perché le promesse di Renzi sono rinviate a dopo il referendum.

Prima del referendum l’Italicum passerà per il giudizio della Corte costituzionale, il 4 ottobre. E non per caso, ma perché un gruppo di avvocati – coordinati da Felice Besostri – lo ha portato in una ventina di tribunali civili italiani, ripercorrendo la strada aperta dalla causa contro il Porcellum. Il governo non è stato a guardare durante l’ultimo anno. Al contrario, ha cercato di salvare la sua creatura, l’Italicum.

Renzi adesso sta alla finestra e aspetta le Corte. Napolitano suggerisce una modifica alla legge elettorale, che è la stessa nella disponibilità immediata della Consulta se decidesse di accogliere una delle due questioni di costituzionalità sollevate dal tribunale di Torino (e prima da Messina, insieme ad altre cinque a rischio bocciatura; e dopo da Perugia, ma troppo tardi per l’udienza del 4 ottobre). Sono stati scelti da Napolitano l’attuale presidente della Corte Costituzionale, il prossimo relatore del caso Italicum e altre tre giudici su quindici. Il governo però non è stato a guardare. Ha dato mandato all’avvocatura dello stato di fermare gli avvocati anti Italicum (i cui ricorsi sono stati firmati anche da parlamentari della minoranza ed esponenti del comitato del No al referendum costituzionale). Nelle memorie «difensive» dell’Italicum, l’avvocatura ha spiegato che la legge è perfettamente costituzionale e i ricorsi sono da respingere perché non essendoci ancora state le elezioni con questo nuovo sistema, anzi non essendo fino al luglio scorso nemmeno applicabile la legge, nessun diritto dei ricorrenti può dirsi violato. L’avvocatura dello stato si è costituita anche di fronte alla Corte costituzionale. Dunque mentre Renzi dichiara nei comizi che per lui la legge si può cambiare «che problema c’è?», nell’udienza del 4 ottobre la legge sarà difesa per conto del governo. Era obbligatorio farlo, dopo le difese nei tribunali di primo grado? No, non lo era, tant’è che il governo Monti nel 2013 rinunciò a difendere il Porcellum.

Ieri Besostri ha depositato la sua memoria (in nove capitoli) con 26 documenti allegati. Sottolineando che anche laddove venissero accolte le due questioni sollevate da Torino (il premio di maggioranza assegnato in un ballottaggio al quale si accede senza quorum e le pluri candidature dei capilista sicuri dell’elezione), «l’Italicum non diventerebbe solo per questo costituzionale».

Ma se la Consulta dovesse bocciare la legge, il governo che l’ha voluta con la fiducia non potrebbe cavarsela con una scrollata di spalle. L’ipotesi che la Corte decida di rinviare a dopo il referendum allora resiste. «Mi pare difficile, somiglierebbe a un rinvio politico e la Consulta deve mantenere un’immagine di dignità e onorabilità», ha detto Massimo Villone presentando il ricorso. Al quale oggi si aggiungerà la memoria degli avvocati milanesi Tani, Bozzi e Zecca, gli stessi che con Besostri affondarono il Porcellum.

Un rinvio sarebbe possibile nel caso in cui la Consulta volesse esaminare altri possibili motivi di incostituzionalità, primo fra tutti il fatto che la legge elettorale non è stata approvata con la procedura «normale» come impone la Costituzione. Ma con la fiducia.