L’ordinanza del tribunale di Torino che il 5 luglio scorso ha posto due questioni di legittimità sulla legge elettorale è stata pubblicata in Gazzetta ufficiale a tempo di record: potrà così essere discussa nell’udienza della Corte costituzionale del prossimo 4 ottobre. Udienza prevista da tempo per discutere le sei eccezioni di costituzionalità contro l’Italicum sollevate a febbraio dal tribunale di Messina. Ma mentre gli argomenti del collegio siciliano sono generalmente giudicati poco solidi, tanto che si prevedeva un giudizio di non accoglimento da parte della Corte costituzionale, l’ordinanza della giudice monocratica torinese Cristina Contini appare ben argomentata. E rappresenta una minaccia seria per la legge elettorale. Non più per il governo, però, che a questo punto ha tutto da guadagnare da un ammorbidimento dell’Italicum. Perché la legge, ormai è evidente, favorisce più il Movimento 5 Stelle che il Pd. Perché crescono ogni giorni i parlamentari di maggioranza che chiedono di modificarla. E perché la sua modifica è considerata un aiuto alla campagna per il Sì al referendum costituzionale.

La velocità con la quale l’ordinanza di Torino è stata pubblicata sulla Gazzetta ufficiale è il segno di quanto sia seguita con attenzione dalla Corte costituzionale. Se l’ordinanza di Messina aveva impiegato quasi due mesi per essere pubblicata (dal 17 febbraio al 6 aprile di quest’anno), che sono i tempi ordinari, per quella di Torino sono bastati 22 giorni. Non solo, la Consulta che cura la sezione speciale della Gazzetta ha – si dice, su impulso del presidente Paolo Grossi – dato la precedenza all’ordinanza torinese rispetto a tutte le altre che attendevano la pubblicazione. Tant’è vero che è stata pubblicata il 27 luglio con il numero sequenziale 163 mentre l’ultima ordinanza pubblicata il 13 luglio porta il numero 134. In pratica sono state «superate» 28 ordinanze, evidentemente ritenute meno urgenti. In questo modo la Corte si è assicurata la possibilità che anche gli argomenti del tribunale torinese contro l’Italicum potranno essere discussi il 4 ottobre, visto che tra i giorni necessari per la costituzione delle parti e quelli per la convocazione dell’udienza è necessario un intervallo di quasi due mesi.

I cittadini che hanno presentato il ricorso contro l’Italicum al tribunale di Torino – tra questi nomi noti come don Luigi Ciotti, l’ex sindaco Novelli, lo storico D’Orsi, i costituzionalisti Dogliani e Pallante, Livio Pepino, Marco Revelli e la deputata Fabiana Dadone – avevano individuato tredici motivi di sospetta incostituzionalità della nuova legge elettorale. La giudice Contini ne ha accolti solo due. Il primo riguarda il fatto che i capilista pluricandidati, con la garanzia di essere eletti, potranno scegliere per quale collegio optare a risultato ottenuto, decidendo così in maniera arbitraria quali altri candidati premiare all’interno della loro lista. Il tribunale adombra anche una possibile soluzione, quella di considerare eletti i capilista nei collegi dove la lista ha preso più voti. Il secondo motivo di sospetta incostituzionalità riguarda il divieto di apparentamento tra liste al ballottaggio. Che, secondo il tribunale di Torino, «rende il voto espresso al turno di ballottaggio eccessivamente sbilanciato in favore della governabilità».
Se la Consulta dovesse accogliere questo argomento, indicherebbe a Renzi una possibile soluzione ai suoi problemi attuali. Da più parti, infatti, si chiede un ritorno al premio di coalizione, invece che alla lista. Lo chiedono gli alleati centristi, l’ultimo arrivato Verdini ma anche una buona parte del Pd, non solo di minoranza. Prevedere la possibilità di coalizioni tra il primo e secondo turno – tanto più in omaggio obbligato alle decisioni della Corte costituzionale – aiuterebbe sicuramente il governo. Naturalmente tutti gli altri difetti dell’Italicum, e cioè il super premio di maggioranza che in teoria resta alla portata di un partito votato al primo turno da una piccola minoranza di elettori, e le liste bloccate, resterebbero intatti. Alcuni di questi sono sollevati dall’ordinanza di Messina, il cui destino però appare segnato. Di entrambe le cause si avvia a essere indicato come relatore il giudice costituzionale Nicolò Zanon, nominato da Napolitano nel 2014.