Le crisi aziendali non aspettano. Non aspettano la formazione dei governi, i tempi parlamentari, i ministri che si iscrivono ai partiti e girano le sezioni.

E allora mentre al ministero dello sviluppo economico tutto sembra fermo, migliaia di lavoratori chiedono che qualcuno li aiuti. Per tutta risposta però i loro tavoli sono sconvocati o rinviati.
I più preoccupati sono certamente quelli di Italiaonline (Iol). L’ex Pagine Gialle, da anni in crisi mentre i propri soci ingrassano di dividendi, il 6 marzo ha annunciato la chiusura della sede di Torino e di altri insediamenti come Pisa e Firenze, annunciando 400 esuberi e 241 «trasferimenti coatti» da Torino a Milano.

Una crisi grave come quella di Embraco ma che ha la sfortuna di arrivare dopo le elezioni. Il marchio che dopo la quasi scomparsa delle Pagine Gialle dalle nostre case ha in portafoglio marchi digitali come Virgilio e Libero, è di proprietà al 58 per cento di Naguib Sawiris, il magnate egiziano ex proprietario di Wind. Lui e i fondi a lui alleati (Gl Europe che ha una quota del 13,9 per cento, e Goldentree col 16, 2 per cento) nell’aprile scorso hanno deliberato un maxi dividendo straordinario da 79 milioni con cui sono rientrati dei 60 milioni spesi nel 2015 per comprarsi Pagine Gialle.

Dopo i tre giorni di sciopero della scorsa settimana, la mobilitazione va avanti con proteste e scioperi. In un primo momento il tavolo al ministero dello sviluppo per affrontare la crisi di Iol era stato convocato per lunedì 16 marzo. Domenica però è arrivata la conferma del rinvio a venerdì 20 marzo: un ritardo che ha fatto infuriare i lavoratori. Una rabbia che si farà sentire nel presidio previsto quel giorno sotto il ministero a cui i sindacati Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom assicurano di portare moltissimi lavoratori da tutta Italia.

Altre crisi si trascinano da anni e nel mese di marzo avrebbero dovuto avere riunioni dei tavoli di crisi decisive. La più lunga è quella che riguarda l’ex stabilimento Fiat di Termini Imerese. Dopo la lunga favola Di Risio, ora la proprietà è passata alla Blutec, una società da sempre nell’orbita Agnelli che in Sicilia dovrebbe produrre auto elettriche. Ma nell’ultimo tavolo del 20 febbraio i nodi sono venuti al pettine: il ritardo sul piano industriale è imbarazzante così come i conti dei soldi pubblici già utilizzati. Dei 20 milioni di fondi regionali vincolati a precisi investimenti industriali ed erogati nel 2016 da Invitalia nessuna rendicontazione è stata fornita. Ritardi ugualmente gravi sul ritorno al lavoro con ancora 500 operai fuori. Il prossimo tavolo è stato rimandato a dopo le elezioni e non ancora convocato.

È in una situazione molto simile anche la Iia, Industria italiana autobus, l’azienda che ha rilevato un altro stabilimento chiuso da Marchionne – l’Irisbus di Valle Ufita (Avellino) – e la storica Bredamenarini di Bologna. Il 28 febbraio doveva essere «la giornata delle certezze» sul percorso di consolidamento finanziario del gruppo guidato da Stefano Del Rosso. Le commesse di autobus in realtà ci sarebbero, mancano le certezze produttive per garantire il ritorno al lavoro nei due stabilimenti. Anche qui il prossimo tavolo non è stato convocato.

Ma le trattative più importanti rimaste appese all’esito elettorale sono sicuramente Ilva e Alitalia. Per Taranto il M5s ha più volte proposto la chiusura o la riconversione e ora i dirigenti di Arcelor Mittal che da mesi trattano con governo e sindacati per la riapertura del gruppo non possono che essere spaventati dall’esito elettorale. I franco indiani attenderanno certo l’arrivo di un nuovo governo e un nuovo ministro per chiudere – eventualmente – la trattativa. In realtà un primo riposizionamento post elettorale c’è stato e paradossalmente sembra rafforzare Arcelor Mittal. Il sindaco di Taranto Rinaldo Melucci ha abbandonato Michele Emiliano: ha lasciato la sua corrente “Fronte Dem”, ha licenziato l’assessore Franco Sebastio (ex pm che sequestrò l’acciaieria) e ha dichiarato che il ricorso al Tar (ancora in discussione) non è più la scelta «più produttiva».

Quanto ad Alitalia, la profezia di Calenda («Entro le elezioni la vendita») non si è puntalmente avverata. Anche qui sarà il prossimo governo a dover dare indicazioni ai tre commissari per scegliere il pretendente più affidabile fra Lufthansa e la cordata Easy Jet, AirFrance, Delta e Cerberus.