«#CaroPresidente» «#Non lasciateci soli» «#NoiRestiamo». Poche parole che dicono tutta l’amarezza di una generazione di italiani non riconosciuti come tali nel proprio Paese che non può credere di essere stata liquidata – con una discreta dose di codardia – da un «vergognoso atto di senatori irresponsabili», come ripetono in molti sui social media.

Dopo che il 23 dicembre scorso, non appena incassato il via libera alla legge di Bilancio, il Pd e il M5S hanno fatto mancare il numero legale alla discussione sullo ius soli temperato, ieri il movimento «Italiani senza cittadinanza» – che porta avanti le istanze di quegli 800 mila giovani, figli di immigrati, nati o cresciuti in un’Italia che senza di loro è destinata all’estinzione ma che non si rassegnano perché non hanno un’altra patria – ha deciso di scrivere al presidente Sergio Mattarella un ultimo accorato appello affinché non sciolga le camere il 28 dicembre, come sembra sia intenzione del Quirinale, e dia così un’altra chance alla legge sulla cittadinanza. Si potrebbe meglio dire: un’altra chance all’onore dei senatori che non hanno avuto il coraggio neppure di esplicitare il loro dissenso.

Il movimento «Italiani senza cittadinanza» sceglie di datare la lettera 27 dicembre, giorno del settantesimo anniversario della promulgazione della Costituzione italiana, per ricordare che i loro diritti sono scolpiti in quella Carta redatta nel 1947. «In particolare nell’articolo 3, il cui secondo, magnifico comma, concepito dal padre costituente Lelio Basso», recita: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitando di fatto l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Un articolo, scrivono nella lettera al capo dello Stato le ragazze e i ragazzi del movimento, che «prospetta un orizzonte di riduzione delle diversità e di accesso ai diritti fra le varie componenti della Nazione e di progressivo ampliamento dei diritti e della platea degli aventi diritto come inscritto nell’intelaiatura profonda della Repubblica».

«Caro Presidente – prosegue la lettera – concorderà con noi che il 23 dicembre la Repubblica ha fallito nella rimozione di questi ostacoli, mantenendo di fatto una distinzione netta tra cittadini e non, basata su una concezione prettamente elitaria ed economica della cittadinanza. Non lasci che questa battaglia, iniziata con le prime mobilitazioni della Rete Nazionale Antirazzista nel 1997, quando molti e molte di noi non erano ancora nati, cada in un nulla di fatto. Talvolta – concludono i giovani le cui biografie sono, che lo si voglia o no, già storia italiana – le autorità di un Paese democratico sono chiamate dalla Storia a promuovere leggi che possono apparire divisive ma che in realtà sono necessarie a potenziare gli anticorpi e a creare argini contro la deriva di forze antidemocratiche e destabilizzanti. Non lasciateci soli ancora una volta».

Un appello che molto probabilmente cadrà nel vuoto, in nome della realpolitik. Nell’afasia delle feste comandate, sono poche le voci che si levano per supportare la richiesta: Sinistra italiana, Verdi, Mdp-Liberi e Uguali, l’Unione Popolare Cristiana e un paio di esponenti Pd. Tutti gli altri, a destra, gioiscono per la fine di una legislatura che si porta dietro una legge «sbagliata». I vertici dem sonnecchiano sotto l’albero. Il M5S probabilmente no, ma se ne guarda bene dal profferire parola.