L’Italia ha i requisiti di accesso alla pensione più alti di Europa e i lavoratori vanno in pensione mediamente 2 anni dopo di quanto non facciano i lavoratori del resto di Europa e 3-4 anni dopo di quanto previsto per quelli non europei. Il dato, ancora più interessante visto che il tema pensioni è tornato di attualità, emerge da una comparazione tra le differenti regole in vigore effettuata dalla Uil.

Con 66 anni e 7 mesi per gli uomini del settore pubblico e privato e per le donne del pubblico, e con 65 anni e 7 mesi per le donne del settore privato l’Italia dunque conquista il podio in Europa e fuori. Ci batte solo la Grecia, 67 anni, che però prevede una serie di deroghe con cui flessibilizzare l’uscita dal lavoro: deroghe attualmente in vigore che possono abbattere l’età di accesso alla pensione fino a 55 anni per gli uomini e 50 anni per le donne. «La reintroduzione in Italia della flessibilità di accesso al pensionamento proposta dal sindacato è pienamente sostenibile se paragonata a quanto avviene in Europa e in tutti i paesi dell’Ocse», ha commentato il segretario confederale della Uil, Domenico Proietti.

Mediamente nei Paesi Ue, infatti, si evince dalle tabelle dell’indagine del sindacato, gli uomini vanno in pensione a 64 anni e 4 mesi, le donne a 63 anni e 4 mesi: gli italiani e le italiane vanno, dunque, in pensione 2 anni dopo rispetto agli altri cittadini Ue.

Questo dato, tra l’altro, è destinato a crescere poiché i requisiti anagrafici per l’accesso alla pensione, nel nostro Paese, sono ancorati all’aspettativa di vita e vengono costantemente aggiornati.

L’età più bassa è quella che vige in Svezia dove dai 61 anni il lavoratore può decidere di accedere alla pensione. Se paragoniamo il requisito anagrafico del nostro Paese con la media dei paesi non europei, si evince come in Italia siano richiesti circa 3 anni in più di anzianità per gli uomini e 4 per le donne per accedere alla pensione. Le richieste di Cgil, Cisl e Uil sulla flessibilità in uscita sono dunque ancora più motivate.