Sul dilemma «preparazione rivoluzionaria o preparazione elettorale?» i compagni della frazione comunista astensionista non avevano dubbi. Contro la «cloaca parlamentare» la sinistra comunista italiana nel 1919 affilava le armi per una politica a favore di un «Fronte di azione comune dal basso di tutti gli sfruttati». La guidava Amadeo Bordiga. La cui biografia deve essere apparsa come un déjà vu ieri mattina nella mente di Andrea Orlando, vicesegretario del Pd, non appena lette le dichiarazioni dei dirigenti regionali del partito di Matteo Renzi sulle imminenti elezioni calabresi. «Italia viva non è in campo alle prossime elezioni e quindi, non essendo presente il simbolo, ai tanti che in questi giorni ci chiedono un’indicazione, ribadiamo la nostra posizione di non sostenere nessun candidato» avevano dichiarato il senatore calabrese di Iv Ernesto Magorno e Stefania Covello, dirigente regionale. Per concludere: «La scelta di non partecipare alla tornata elettorale è figlia della delicatezza del momento che richiede scelte decisive. Serve un rinnovamento profondo e il nostro partito, il cui simbolo è stato presentato meno di 100 giorni fa, si strutturerà solo dopo l’assemblea nazionale dei prossimi 1 e 2 febbraio».

Tutto vero? Fino a un certo punto: alle concomitanti elezioni emiliano-romagnole Italia viva ci sarà eccome, non con il suo simbolo ma nella lista del presidente candidato, Bonaccini. Anzi, tutti i maggiorenti del partito sono impegnati in questi ultimi giorni di campagna elettorale. Da qui il fastidio di Orlando. Che su twitter ha cinguettato tutto il suo stupore in chiave novecentesca: «C’è una novità! In Calabria Italia Viva ha la stessa posizione di Bordiga negli anni 20 del secolo scorso ’Non sosteniamo nessun candidato’. Le elezioni sono un inutile esercizio borghese?».

In realtà il disimpegno dei renziani in Calabria parte da lontano. Il modo in cui è stata gestita la defenestrazione del presidente uscente Mario Oliverio non è piaciuta. È vero che Magorno, quando era segretario regionale dei dem, prima che il partito fosse commissariato, era stato uno dei fautori del cambio di cavallo. Ma è parimenti vero che la scelta di Pippo Callipo non è piaciuta affatto ai renziani. Troppo ’populista’ e ’anticasta’ per Iv. Molti rinfacciano all’imprenditore del tonno in scatola il passato giustizialista nel partito di Di Pietro nelle cui file si candidò a presidente nel 2010 (fu un insuccesso clamoroso, il 10% e Callipo fuori dal consiglio). Ma ciò che ha fatto imbestialire i renziani sono le sue ultime dichiarazioni paragrilline. «Se verrò eletto presidente non vorrò un centesimo di stipendio». E ancora: «Nella mia giunta niente partiti, solo tecnici». Insomma, un frasario copia-incolla dei mantra grillini.

D’altronde, quando ha ufficializzato la candidatura Callipo lo disse chiaro. Lui si sente un «cinquestellino» (il copyright è suo). «Le nostre idee sono le stesse e ricordo che ho contribuito all’elezione dell’unico sottosegretario calabrese al governo, Anna Laura Orrico, (sua dipendente, ndr) e all’elezione di Laura Ferrara all’europarlamento».

Ieri in serata Renzi capisce la gaffe e corregge, almeno un po’: «Italia Viva non partecipa alla competizione, ma se io fossi calabrese voterei Callipo». Ma i dem sono nel panico. In Calabria la partita è difficilissima e i mancati voti dei renziani potrebbero decretare il de profundis per Callipo. Il commissario del partito regionale Stefano Graziano prova in extremis a recuperare i renziani: «Iv può e deve dare il suo apporto ad aprire una pagina nuova in Calabria e a fermare il sovranismo leghista». Ma sembra troppo tardi. E il teatrino finirà come i socialisti alla vigilia della prima guerra mondiale: «Né aderire né sabotare».