Per un miglioramento delle condizioni di lavoro e quindi per una diminuzione degli incidenti e delle malattie di origine professionale, l’Unione europea si è dotata nel tempo di uno strumento programmatico a cadenza pluriennale chiamato «Strategia per la salute e sicurezza sul lavoro», nel quale vengono indicati i punti di priorità sui quali concentrare l’impegno. L’Italia è uno dei pochi paesi dell’Unione a non avere ancora una propria Strategia Nazionale. Ed è l’unico che non l’ha mai avuta.

BASTEREBBE QUESTO DATO per certificare il ritardo culturale del nostro paese rispetto al tema della sicurezza sul lavoro.

«Le leggi nazionali sono anche avanzate ma mancano totalmente investimenti in materia: con la crisi per un decennio si è tagliato tutto il possibile e non si è ancora ricominciato a mettere risorse. Anzi, nell’ultima manovra il governo ha tagliato i “premi” – gran brutta parola – alle imprese e il fondo formazione dell’Inail», attacca Rossana Dettori, segretaria confederale della Cgil con delega in materia di sicurezza sul lavoro.
L’altro tema dolente è quello dei controlli e della carenza di coordinamento fra le istituzioni preposte. «Dopo ogni morto sul lavoro si fa tanta retorica dimenticandosi dal giorno dopo l’impegno promesso. Oltre ai morti, gli incidenti sono in un numero spropositato e si possono ridurre solo con la formazione, con una organizzazione del lavoro che tenga conto dei rischi dei nuovi lavori a partire dai rider e da tutte le mansioni che non hanno più un luogo fisso dove si opera», continua Dettori. Che sottolinea la continua divisione di competenze con cui si ci scontra ogni volta. «A livello nazionale serve mettere in rete ministro della Salute, ministero del Lavoro e Inail, mentre sul territorio sono le Ausl e gli Ispettorati del lavoro a dover dialogare applicando un piano comune».

Il Documento unitario di Cgil, Cisl e Uil in materia si intitola non a caso «Un’azione di prevenzione efficace, partecipata e diffusa». E chiede alle istituzioni di «integrare il Dpcm del 21 dicembre 2007 “Coordinamento delle attività di prevenzione e vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro” con un provvedimento nazionale che preveda la definizione di una cabina di regia degli organismi coerentemente con l’approccio europeo trilaterale (organizzazioni sindacali, organizzazioni datoriali, Regione)» e «la promozione dell’operatività degli Rls (i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, eletti sui luoghi di lavoro) e Rlst (il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale, la nuova figura introdotta nel 2008 per coprire anche le aziende senza Rls eletti) .

SUL LORO RUOLO recentemente si è avuta la denuncia dei macchinisti che hanno parlato di un «vero e proprio muro di sbarramento» sulla strage di Pioltello da parte di un dirigente della Digifema, l’Uffico investigativo del ministero dei trasporti sugli incidenti ferroviari che non fa accedere gli Rls agli atti dell’inchiesta ministeriale, nonostante il loro lavoro di consulenza è risultato molto importante per arrivare alle cause dell’incidente nella strage di Viareggio e in altri casi.

«Con Confindustria nel Patto per la fabbrica siamo arrivati a scrivere un buon testo sull’utilizzo e il coordinamento degli Rlst, ma ora Confindustria sta perdendo tempo nell’implementazione dell’accordo», sottolinea Dettori.

Quanto agli infortuni, Cgil, Cisl e Uil chiedono «la rapida approvazione del Testo unico amianto con adeguati stanziamenti per finanziarlo, predisponendo e implementando i Registri dei mesoteliomi, nonché il registro dei tumori professionali a bassa frazione eziologica», ma al centro c’è sempre «promuovere la cultura della prevenzione e della salute e sicurezza sul lavoro definendo linee guida e un target di vigilanza specifici relativamente ai lavoratori e alle lavoratrici giovani, i più esposti (assieme ai migranti, ndr) alla precarietà, anche attraverso l’abuso dei tirocini non curricolari, che, frequentemente, è associata a una minore salute e sicurezza sul lavoro».