Il Sudafrica ha battuto l’Italia con il punteggio di 35 a 6 nell’ultimo dei tre test match autunnali. La sconfitta a Padova è netta tanto nel punteggio quanto nei valori tecnici visti in campo. Nonostante i primi dieci minuti di gioco, che hanno visto gli azzurri occupare la metà campo avversaria e passare per primi in vantaggio con un penalty di Carlo Canna (10’), mai la squadra è parsa in grado di impensierire la difesa degli Springboks. La linea di meta avversaria è stata sempre un miraggio, un obiettivo osservato da lontano e mai seriamente avvicinato.

Cinque mete a zero. Tre nel primo tempo (François Louw al 13’, Mbonami al 23’, Venter al 34’) e altre due nel secondo (Kitshoff al 43’, Mostert al 74’). Per gli azzurri il tabellino registra due calci piazzati di Carlo Canna (10’ e 20’) e null’altro. L’exploit di un anno fa, quando l’Italia sconfisse per la prima volta i sudafricani, passa così agli annali senza lasciare particolari tracce. Il Sudafrica era reduce da una sconfitta pesantissima con l’Irlanda, seguita da un successo di strettissima misura conto la Francia a Parigi. Sabato prossimo concluderà il suo tour a Cardiff contro il Galles. Non poteva dunque concedersi passi falsi, stanti le molte polemiche che hanno accompagnato le ultime stagioni, a cominciare da quella sulle «quote» riservate ai giocatori neri e «coloured» che secondo la minoranza bianca avrebbero indebolito la forza del rugby sudafricano. Ma non poteva certo essere questa Italia l’avversario capace di mettere in difficoltà la quinta potenza dell’universo ovale.

Su un campo bagnato dalla pioggia, in un pomeriggio di tempo uggioso, gli Springboks hanno perciò scelto di giocare alla loro maniera, senza fronzoli ma pienamente consapevoli di quali fossero i loro punti di forza. Un pacchetto di mischia granitico di oltre 900 chili, la giusta ferocia e astuzia nei placcaggi e nei raggruppamenti, la capacità di innalzare una barriera invalicabile ogni volta che si giocava sullo stretto, i calci tattici usati con mestiere. E poi una sequenza implacabile di «pick and go» e sfondamenti per vie centrali, manovre volte a fiaccare, usurare e infine frantumare la difesa degli azzurri. Tutte e cinque le mete sono state messe a segno recitando questo copione, al quale gli azzurri non sono stati in grado di contrapporre altro che buona volontà, la generosità e impegno. Il maglio degli Springboks non è sembrato davvero trovare adeguate contromisure. Due mete (Kitshoff e Mbonami) sono giunte da maul successive a rimesse in gioco nei 22 metri dell’Italia, altre due (Louw e Mostert) da percussioni contro la nostra retroguardia a ridosso dell’area di meta. Una terza da un calcio a spiovere. Il gioco alla mano era una opzione utilizzata solo per portare le maglie verdi a ridosso dei 22 metri, poi si cominciava a martellare. Non c’è stato scampo.

Il trittico autunnale dell’Italia si conclude senza squilli né acuti. Al successo di misura con Figi era seguita la sconfitta con l’Argentina in un match giocato sostanzialmente alla pari. Ieri è giunta la dura lezione dei sudafricani. Conor O’ Shea ha riconosciuto l’evidente superiorità, soprattutto fisica, dei nostri avversari, ma si è detto comunque «orgoglioso» del cammino fin qui compiuto e del gruppo di giocatori che lui sta plasmando. Tra due mesi però l’Italia è attesa da un Sei Nazioni durissimo in cui nessuna delle avversarie sembra attualmente alla portata degli azzurri. Persino la Scozia, che per anni è stata la squadra su cui fare la corsa, è diventata «off limits»: nel pomeriggio il XV del cardo ha maltrattato i Wallabies australiani, sconfitti per 53-24.