In cinque anni (dal 2007 al 2012) il numero dei poveri italiani è raddoppiato: da 2,4 milioni a 4,8 milioni. La fotografia è dell’Istat, che ieri ha diffuso un dato «choccante», ma che ci si poteva aspettare vista la violenza della crisi che tutt’oggi attraversiamo. Si parla in questo caso degli individui «in povertà assoluta», dato ancora più circoscritto rispetto a quello della povertà relativa (misurata sul reddito medio, mentre la prima lo è sulla soglia dei beni di prima necessità): e, proprio per questo, ancora più significativo.

«La recessione ha determinato gravi conseguenze sulla diffusione e sull’intensità del disagio economico nel nostro Paese», ha sintetizzato il presidente facente funzione dell’Istat, Antonio Golini, ieri in audizione in Senato sulla Legge di stabilità. Nell’ultimo anno l’aumento si è esteso anche a fasce di popolazione che tradizionalmente presentavano una diffusione del fenomeno molto contenuta, perché hanno un lavoro e/o il secondo reddito del coniuge. Ma anche questa parte di società è andata in sofferenza, perché uno dei coniugi perde il posto, o perché la famiglia è numerosa.

Secondo l’Istat, quasi la metà dei poveri assoluti (2 milioni 347 mila) risiede nel Mezzogiorno (erano 1 milione 828 mila nel 2011). Di questi oltre un milione (1,058) sono minori (erano 723 mila nel 2011) con un’incidenza salita in un anno dal 7 al 10,3%.

La crescita dell’incidenza della povertà assoluta va dagli oltre 8 punti percentuali, quando il capofamiglia è in cerca di lavoro (dal 15,5 al 23,6%), ai 5,8 tra le coppie con tre o più figli (dal 10,4 al 16,2%), ai quasi 5 punti (dal 12,3 al 17,2%) per le famiglie con 5 o più componenti. L’incremento scende a 3 punti per le famiglie con 4 componenti (dal 5,2 all’8,3% ed a quasi 2 punti (dal 4,7 al 6,6%) per quelle con tre componenti.

Insieme al reddito e al potere di acquisto si sono ridotti anche i consumi, e insieme è cresciuta la propensione al risparmio e agli acquisti di qualità e prezzi inferiori. Nel primo semestre 2013, il 17% delle famiglie (1,6% in più rispetto allo stesso periodo del 2012 e 4,9% in più dei primi 6 mesi del 2011), dichiara di aver diminuito la quantità di generi alimentari acquistati e di aver scelto prodotti di qualità inferiore. Complessivamente, la quota di famiglie che ha ridotto qualità e/o quantità dei generi alimentari acquistati aumenta in misura consistente: dal 51,5% del primo semestre 2011, al 65% del primo semestre 2013 (77% nel Sud).