Nessuna regione è in zona rossa. Puglia, Sardegna, Sicilia, Umbria e Alto Adige sono in arancione, mentre le altre 16 regioni sulla mappa sono colorate di giallo. È questo il verdetto della cabina di regia che si è riunita ieri, ratificato in serata dall’ordinanza del ministro Speranza. Le nuove zone entrano in vigore lunedì 1 febbraio. Il quadro muta radicalmente rispetto alle ultime due settimane in cui tre regioni erano in rosso, dodici in arancione e solo sei in giallo. La transizione più repentina è quella della Lombardia, che ha saltato due “gradini” in due settimane dopo il pasticcio sui dati. Ma proprio i dati suggeriscono una valutazione più prudente. Silvio Brusaferro, il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, preferisce parlare di «lenta decrescita» del numero dei casi e degli altri parametri sanitari nel presentare i dati. Gli danno ragione i numeri relativi alle ultime 24 ore. 477 morti per Covid-19 e oltre 13 mila nuovi positivi al coronavirus indicano che la pandemia non è alle nostre spalle.

L’indice Rt, riferito alla settimana 18-24 gennaio, è in calo: 0,84 a livello nazionale, con tutte le regioni sotto la soglia critica 1 tranne il Molise. Scende al 28% il tasso di occupazione delle terapie intensive, appena sotto il valore di allerta del 30%. «Aumenta la percentuale di casi asintomatici e paucisintomatici», commenta Brusaferro. «È un dato da confermare ma suggerisce che l’uso sempre più massiccio dei test antigenici permetta di intercettare un maggior numero di casi con sintomi lievi». L’incidenza del virus però è ancora alta: 289 nuovi casi positivi per 100 mila abitanti nelle ultime due settimane sono un valore lontano dall’obiettivo di 50 casi per 100 mila abitanti, ritenuto necessario per attuare un contenimento dell’epidemia.

Il miglioramento c’è, dunque, ma è tenue. «Questo lieve miglioramento – spiega il direttore della prevenzione Gianni Rezza – è la conseguenza delle misure prese nel corso dell’ultimo mese e bisogna continuare a mantenere dei comportamenti prudenti». Il timore è che l’allentamento delle misure vanifichi i risultati ottenuti. L’esito della riunione della cabina di regia, in cui la prudenza degli scienziati si è scontrata con le richieste delle regioni, è stato a lungo incerto, con molte regioni in bilico tra “arancione” e “giallo” fino al tardo pomeriggio.

Rezza ha assicurato che i miglioramenti non sono il frutto di artifici contabili dovuti all’introduzione massiccia dei test antigenici, meno sensibili. «I test antigenici di ultima generazione hanno performance paragonabili ai test molecolari» spiega. «Il test molecolare però dà altre informazioni: per esempio, permette di rilevare la presenza di varianti del virus», l’ultimo incubo degli epidemiologi. Ma negli indicatori, spiega ancora Rezza, si valuta la tendenza di ciascuna regione, non si confrontano tra loro regioni che seguono strategie diverse l’una dall’altra. Gli esperti ridimensionano anche l’allarme lanciato da Repubblica dopo un report dei servizi segreti secondo cui il numero di contagiati sarebbe fortemente sottostimato. «È un dato noto a tutti gli epidemiologi», spiega Brusaferro, perché molti asintomatici sfuggono alla sorveglianza. «Anzi, la nostra stima è anche più prudente di quella».

Agli epidemiologi tocca anche occuparsi del festival di Sanremo, che quest’anno rischia di doversi svolgere a porte chiuse a causa del rischio Covid. Così almeno propone il ministro dei beni e delle attività culturali Franceschini scatenando le proteste da parte degli organizzatori. Il presidente dell’Iss conferma che non sono solo canzonette: «Il Cts sta istruendo la pratica».