Il vaccino russo Sputnik sarà prodotto anche in Italia. Il nostro paese si aggiunge così alla lista di quelli che hanno stretto accordi per la produzione del vaccino con l’istituto Gamaleya di Mosca che lo ha sviluppato e con il fondo sovrano russo che ne controlla la produzione. L’annuncio arriva dalla Camera di commercio italo-russa: «L’amministratore delegato Kirill Dmitriev del Russian Direct Investment Fund (Rdif) – si legge in una nota – ha confermato di aver raggiunto un accordo con l’azienda Adienne Pharma & Biotech per la produzione dello Sputnik V in Italia, siglando il primo contratto europeo per la produzione locale del vaccino».

La produzione avverrà nello stabilimento brianzolo della società, sede in Svizzera ma radici italiane. A fondarla è stato Antonio Francesco Di Naro, che ha iniziato insegnando chimica nei professionali di Bergamo e oggi conduce l’azienda specializzata nella produzione di farmaci contro le malattie rare. Oltre all’Italia, il vaccino russo sarà prodotto anche in India, Brasile, Corea del Sud, Kazakhstan e Malesia. «La partnership permetterà di avviare la produzione già dal mese di luglio 2021» spiega la Camera di Commercio italo-russa, che nei giorni scorsi aveva organizzato una serie di incontri con possibili partner pubblici e privati per avviare la produzione italiana del vaccino russo. «Questo permetterà la produzione di 10 milioni di dosi entro la fine dell’anno».

«TRA LE IMPRESE che si sono mostrate interessate – spiega un portavoce al manifesto – la Adienne è apparsa quella più pronta ad avviare la produzione in tempi brevi. Dispone infatti dei bioreattori necessari a riconvertire la linea di produzione». Sono cilindri da migliaia di litri in cui colture cellulari geneticamente modificate sintetizzano le molecole biologiche utilizzate nei farmaci e nei vaccini: qualcosa di simile ai tini in cui fermenta il vino, ma in condizioni di laboratorio infinitamente più controllate attraverso un sofisticato sistema di sensori. La scarsa disponibilità dei bioreattori adatti ostacola attualmente l’allargamento della produzione dei vaccini, oltre ai brevetti e al ristretto numero di tecnici dotati del know how necessario.

DI QUI A LUGLIO, l’Agenzia Europea del Farmaco (Ema) potrebbe aver completato la valutazione del vaccino russo, appena iniziata e che appare piuttosto accidentata. «Ci serve la documentazione, non abbiamo nemmeno dati sulle persone vaccinate» ha detto ieri l’austriaca Christa Wirthumer-Hoche, presidente del consiglio di amministrazione dell’agenzia. «Perciò, invito fortemente i governi a non approvare in via emergenziale il vaccino» e ad attendere il parere dell’Ema. L’invito è rivolto a Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia e alla stessa Austria, decise a muoversi in autonomia dall’Ema. Le sue parole hanno irritato i russi, che hanno chiesto scuse formali. «I commenti negativi – è il loro commento – sollevano seri dubbi sulle possibili interferenze politiche nella valutazione in corso».

Sebbene, come giurano alla Camera di commercio, le istituzioni non siano intervenute nell’accordo Sputnik-Adienne al contrario dell’Europa la politica italiana finora è sembrata ben disposta nei confronti del vaccino russo. Anche l’assessore alla sanità della regione Lazio Alessio D’Amato ha siglato un accordo con il fondo Rdif per ospitare la produzione dello Sputnik V con l’intercessione del direttore sanitario dello Spallanzani Francesco Vaia, che non ha mai nascosto il suo entusiasmo per il vaccino russo. Anche l’operazione Sputnik-Adienne, in effetti, sembra funzionale a un’eventuale svolta sovranista italiana più che a un vero insediamento europeo dei russi. Dieci milioni di dosi avrebbero un impatto reale se fossero destinate esclusivamente al mercato italiano, ma sarebbero del tutto insufficienti per un ordinativo dell’Unione europea: all’Italia toccherebbero solo 1 milione e 300 mila dosi, sufficienti forse per una settimana di vaccinazioni.

DIFFICILMENTE, PERÒ, l’Agenzia italiana del farmaco e lo stesso premier europeista Draghi accetterebbero di sganciarsi dall’Unione.

Per accelerare la campagna vaccinale, il governo finora puntava sul vaccino Johnson&Johnson, che richiede una sola dose e a cui, con tutta probabilità, l’Ema darà il via libera domani. Entro giugno, l’Ue attende dall’azienda 55 milioni di dosi, 7 dei quali destinati all’Italia. Ma ieri l’azienda ha annunciato che difficilmente riuscirà a mantenere l’impegno citando «problemi nelle forniture della materia prima e delle attrezzature» secondo l’agenzia Reuters. «In linea con il nostro accordo con la Commissione europea, confermiamo l’impegno a fornire 200 milioni di dosi entro il 2021», rassicura in serata la J&J con una nota.

Non è una vera sorpresa, perché anche negli Usa la società finora ha consegnato solo la metà delle dosi prenotate. Nemmeno gli altri produttori, d’altronde, hanno onorato gli impegni. Se le vaccinazioni continueranno a zoppicare, rifiutare le offerte russe sarà difficile persino per un governo europeista doc.