Nel giorno in cui si scopre che tre grandi aziende lucravano sull’ambiente utilizzando rifiuti per produrre materie prime, il Rapporto Asvis 2017 conferma come nel nostro paese «la situazione peggiora sensibilmente» nel «proteggere, ripristinare e favorire un uso sostenibile dell’ecosistema».

Si tratta del 15esimo dei 17 obiettivi (Sustainable devolopment goal, Sdg) dell’Agenda 2030 dell’Onu promossa qui da noi dall’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (Asvis). Una rete che riunisce 176 fra istituzioni, fondazioni, associazioni, sindacati e imprese. L’Asvis ieri mattina ha presentato il suo Rapporto 2017 illustrato dal suo portavoce – l’ex ministro Enrico Giovannini – e introdotto dal presidente Pierluigi Stefanini – presidente di Unipol.

IN UN QUADRO GENERALE che «conferma la posizione insoddisfacente del nostro paese anche rispetto alle altre nazioni Ocse» (30esimo posto visto che «per nessun Sdg la condizione appare in linea con gli obiettivi») i capitoli sui temi ambientali sono fra i più negativi, specie dal punto di vista energetico.

A dimostrazione di come Renzi e Gentiloni abbiano adottato la strategia solo a parole, Enrico Giovannini ha portato un dato: «Il governo qualche mese fa ha pubblicato il primo Catalogo dei sussidi dannosi per l’ambiente e di quelli a favore: si tratta di 16 miliardi all’anno che lo Stato spende per agevolazioni che danneggiano l’ambiente, a fronte di 15 miliardi che invece vanno a vantaggio. Insomma sono più i contributi che stiamo dando alle imprese per distruggere il nostro ambiente» che quelli in aiuto», ha rimarcato.

PROPRIO IN FATTO DI DISCARICHE l’anno in corso ha visto l’Italia essere deferita alla Corte europea per il mancato rispetto di una direttiva del 1999 che prevedeva che entro il 2009 le discariche attive nel 2001 avrebbero dovuto chiudere o adeguarsi alle nuove norme europee. «A tutt’oggi – rileva l’Asvis – ben 44 discariche non sono ancora in regola».

L’INQUINAMENTO COLPISCE fortemente le falde acquifere allontanando sensibilmente l’obiettivo di «garantire a tutti la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua e delle strutture igienico-sanitarie»: la «carenza d’acqua» è «un’acclarata emergenza nazionale» e quest’estate «due terzi delle Regioni hanno «dichiarato lo stato di calamità» anche perché aumenta la dispersione dell’acqua immessa nelle reti di distribuzione: nel 2015 è stata del 38,2 per cento, oltre due punti in più del 2012.

I RITARDI POLITICI sono fortissimi riguardo a due strumenti fondamentali. Il primo è l’adozione della Strategia energetica nazionale (Sen), «ancora in fase di consultazione». Per l’Asvis «senza un’espansione delle fonti rinnovabili a un ritmo almeno triplo rispetto a quello degli ultimi anni». La «bozza» attuale della Strategia energetica nazionale per l’Asvis poi «non è adeguata agli obiettivi del Trattato di Parigi ed è costruita su un orizzonte troppo breve». Il secondo strumento è il Piano nazionale per l’adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc), anch’esso in forte ritardo di realizzazione.

PER MIGLIORARE la situazione l’Asvis propone prima di tutto una «non più rimandabile riforma fiscale ecologica» imperniata su una «carbon tax» e un «Emission trade scheme (Ets) per il finanziamento delle tecnologie low carbon (a ridotte emissioni di anidride carbonica) e per la promozione dell’occupazione e della competitività». L’applicazione della carbon tax viene proposta prima di tutto nei settori «riscaldamento e trasporti» «con contestuale riduzione della pressione fiscale sul lavoro». «Interventi drastici» sono poi richiesti anche «nel settore dell’edilizia».

«URGE UN PROFONDO cambiamento culturale», sottolinea Giovannini, secondo cui «la complessità e l’urgenza delle azioni necessarie richiede che la presidenza del Consiglio assuma il coordinamento della Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile, trasformando il Cipe in «Comitato Interministeriale per lo Sviluppo Sostenibile», e che «le forze politiche includano gli obiettivi nei propri programmi elettorali». «La trasformazione – spiega Giovannini – consentirebbe di avviare la riconversione green dell’economia, aumentare i posti di lavoro, ridurre l’inquinamento». Insomma, «cambiare si può» ma solo con «politiche integrate e non più settoriali».