«L’Italia vive una spaccatura culturale e identitaria tra accoglienza e rifiuto, tra l’essere terra di partenze e luogo di approdo». È l’immagine del paese che racconta il rapporto Italiani nel Mondo, elaborato dalla Fondazione Migrantes della Conferenza episcopale italiana. Gli indicatori statistici mostrano i danni provocati da oltre un decennio di crisi economica: più di 1,8 milioni di famiglie italiane in povertà assoluta per un totale di 5 milioni di individui, oltre 2 milioni e 350mila nel Mezzogiorno. L’età media di 45,4 anni, una diminuzione di 128mila nascite dal 2008, oltre 90mila residenti in meno in un anno, «l’Italia vive un pieno inverno demografico al quale si uniscono la bassa crescita economica, la formazione e l’istruzione inadeguate al livello europeo e internazionale di innovazione e di competitività». Il tasso di inattivi (cioè quelli che non cercano più lavoro) cala nella fascia tra i 15 e i 24 anni e negli over 50, aumenta nelle classi di età centrali. Sono oltre 3 milioni i Neet (Not in Education, Employment or Training) in Italia. Tra i 20 e i 34 anni l’incidenza è del 28,9% su una media europea del 16,5%.

Difronte alla crisi sono ricominciate le partenze. Su un totale di oltre 60 milioni di residenti in Italia a gennaio 2019, l’8,8% è andato via. Da gennaio a dicembre 2018 si sono iscritti al Registro degli italiani all’estero (l’Aire) 242.353 persone di cui il 53,1% (pari a 128.583) per espatrio, il 35,9% per nascita, il 3,3% per acquisizione di cittadinanza. Sono soprattutto uomini (55,2%) e giovani (18-34 anni, 40,6%) o giovani adulti (35-49 anni, 24,3%) cioè chi è nel pieno dell’età lavorativa: «Capacità e competenze – spiega il report – che, invece di essere impegnate nell’innovazione dell’Italia, vengono disperse a favore di altre realtà nazionali».

Dal 2006 al 2019, il numero di chi va via è aumentato del 70,2%, gli iscritti all’Aire sono passati da poco più di 3,1 milioni agli attuali 5.288.281. Quasi la metà (48,9%) è originario del Sud, il 35,5% del Nord e il 15,6% del Centro. Le partenze nell’ultimo anno hanno riguardato 107 province, le prime sei sono state Roma, Milano, Napoli, Treviso, Brescia, Palermo. Con 22.803 partenze nel 2018, la Lombardia è la regione da cui sono andati via più italiani, seguita da Veneto (13.329), Sicilia (12.127), Lazio (10.171) e Piemonte (9.702). «L’inesorabile “vuoto” sociale che si sta creando – spiega Migrantes – è iniziato nel 1995, quando la popolazione ha cominciato a decrescere, complice un tasso di natalità già in declino e che oggi viene considerato il più basso al mondo al punto tale che il paese è caduto in quella che è stata definita la “trappola demografica”».

Nelle regioni settentrionali l’emigrazione verso altri paesi è l’unica opzione possibile, al Sud invece continuano i flussi interni verso il Nord. Se nel dopoguerra a partire era prevalentemente la manodopera dalle aree rurali del Mezzogiorno, nell’ultimo decennio il 70% delle migrazioni verso il Centro-Nord sono state caratterizzate da un livello di istruzione medio-alto. Così si contano circa 220mila laureati in meno tra i residenti del Mezzogiorno. Nel 2017 il 27% dei migranti totali da Sud a Nord erano laureati rispetto al solo 5% del 1980. Ancora nel 2017 circa il 40% dei residenti al Meridione si è spostato presso un ateneo del Centro-Nord. Secondo le stime fatte da Svimez, il Mezzogiorno disperderebbe un investimento pubblico pari a circa 1,9 miliardi annuo se consideriamo il solo flusso interno, quasi 3 miliardi con i trasferimenti di studenti verso atenei esteri.

Anche i «nuovi italiani» tendono a espatriare: negli anni tra il 2012 e il 2017, degli oltre 744mila stranieri divenuti italiani sono quasi 43mila le persone che hanno poi trasferito la residenza in un altro paese. Il 54,1% (oltre 13mila) solo nel 2016 con un’elevata quota di brasiliani (28%). «La percezione di una presenza straniera in Italia sempre più consistente è errata – conclude il report -. Di stranieri in Italia ne arrivano sempre meno e anche chi ha acquisito la cittadinanza vaglia sempre più spesso il trasferimento in un altro paese».

Infine, il rapporto ripropone il tema dei pregiudizi ricordando all’Italia quando eravamo noi i migranti oggetto di offese: «Significa guardarsi allo specchio e rivedersi con il volto di un altro».