Continuare, anzi insistere. L’attentato che ha ferito gravemente cinque militari italiani a sud di Kirkuk, in Iraq, non solleva alcun dubbio negli stati maggiori né tanto meno al vertice della politica italiana. Il ministro degli esteri Di Maio va un po’ sopra le righe – «l’Italia non indietreggia e mai indietreggerà di un centimetro di fronte alla minaccia terroristica. Lo Stato italiano reagirà con tutta la sua forza di fronte a chi semina terrore e colpisce persone innocenti, tra cui donne e bambini» – ma al di là dei toni la linea espressa dal più compassato Consiglio supremo di Difesa, convocato dal presidente Mattarella, è la stessa. «Il terrorismo transnazionale resta la principale minaccia per l’Italia e per tutta la Comunità Internazionale – si legge nel comunicato diffuso dal Quirinale -. È necessario continuare a garantire la nostra presenza nelle principali aree di instabilità e contribuire con decisione alle strategie tese a sviluppare un efficace sistema di contrasto comune al fenomeno».

Difficile intravedere nel comunicato anche un accenno di riflessione sul fatto che le «strategie comuni» vedono al momento gli Stati uniti disimpegnarsi dalla lotta sul campo all’Isis e la Turchia, alleata Nato, fare la guerra ai principali nemici dello Stato Islamico, i curdi. Gli stessi curdi che nell’area nord dell’Iraq i soldati italiani stanno addestrando, nell’ambito della missione che ormai da molti anni vede una presenza in Iraq di almeno 1.100 nostri militari. Comprese un centinaio di forze speciali che partecipano all’«Operazione centuria» nell’ambito della task Force 44. Una missione riservata della quale fanno parte i due parà del nono reggimento d’assalto Col Moschin dell’esercito e i tre uomini del Gruppo operativo incursori del Comsubin della marina. Il nostro parlamento, che pure autorizza ogni anno le missioni e la relativa spesa, nulla sa di queste missioni e così è stato l’attentato a rivelare la reale portata dell’impegno italiano. Oltre ai nomi dei cinque feriti che avrebbero dovuto restare segreti. «Addestrare non significa solo esercitarsi tra le mura di una base, ma anche condurre azioni sul terreno, di qualsiasi natura. Se c’è da combattere si combatte», ha raccontato ieri all’Ansa una fonte anonima, militare impegnato in diverse missioni del genere di quella che stavano compiendo le nostre forze speciali quando sono cadute nell’imboscata dell’Isis. Con i militari italiani, che procedevano appiedati, dall’esplosione di un «Ied» (Improvised explosive device) sono stati feriti agli arti inferiori anche due peshmerga curdi. Quattro italiani versano in gravi condizioni in un ospedale miliare da campo di Baghdad, sono fuori pericolo di vita ma non possono essere trasferiti in Italia, tre di loro hanno dovuto subire un’amputazione.

Nel comunicato del Consiglio supremo di difesa, del quale fanno parte il presidente del Consiglio, i ministri di esteri, difesa, interni, economia e sviluppo economico oltre ai vertici militari e che si è riunito ieri pomeriggio al Quirinale, si sostiene che «l’indeterminatezza del quadro strategico, la complessità della minaccia e dei domini nei quali essa si concretizza, richiedono una coerente e lungimirante politica di modernizzazione dello strumento militare. La certezza e continuità delle risorse è fattore indispensabile per garantire una corretta programmazione e un’efficace sinergia con il comparto industriale nazionale».
In tempi di legge di bilancio, in definitiva, anche l’attentato in Iraq offre l’occasione per chiedere maggiori investimenti nel settore militare.