In un recente giovedì mattina, alcune sorprese attendevano il turista in visita al museo di Capodimonte. Le sale dedicate alla pittura dell’800 e all’arte contemporanea risultavano chiuse per mancanza di personale. Anche molte stanze della galleria delle «arti a Napoli» erano chiuse, per lavori dovuti (pare) a qualche infiltrazione. Per scoprirlo, l’incauto visitatore del giorno feriale aveva avuto bisogno di arrivare davanti alle porte sbarrate: nessuno aveva pensato di avvertirlo nel momento in cui pagava il biglietto.

Lorenzo Salvia, nel suo Resort Italia (Marsilio, pp. 150, euro 17) racconta di una spedizione di imprenditori italiani negli Emirati Arabi nell’ottobre 2013. Per promuovere il made in Italy e invogliare gli arabi ricchi a venire in Italia, niente di meglio di un filmato proiettato nella sede della camera di commercio di Abu Dhabi dove si mostrano le nostre bellezze, e tra queste la Gioconda di Leonardo. I ricchi arabi, commenta l’autore, venivano così «invitati caldamente a prendere il primo volo per Parigi». Per organizzare quella spedizione si erano messi assieme ministero degli esteri e Confindustria.

Spiega l’autore, giornalista del Corriere della Sera, che il turismo internazionale cresce più velocemente dell’economia mondiale, in media il 5% l’anno. L’Organizzazione mondiale del turismo – un’agenzia delle Nazioni unite – calcola che nel 2030 quasi due miliardi di persone faranno un viaggio all’estero per turismo. Vale a dire il doppio rispetto ad adesso. L’Italia ospita il maggior numero di siti tutelati dall’Unesco. Ma è scivolata al quinto posto nella classifica dei paesi più visitati dai turisti stranieri, dietro Francia, Usa, Cina e Spagna. Ed è insediata da vicino da Turchia, Gran Bretagna e Germania. Qualche altro dato pescato dai tanti raccolti da Salvia: investiamo meno dell’1% del Pil in cultura e il bilancio del nostro ministero dei beni culturali è passato dagli oltre due miliardi del 2000 al miliardo e mezzo del 2014. Ciò nonostante il turismo in Italia continua a valere un decimo del prodotto interno lordo e impiega una percentuale appena maggiore della forza lavoro. E, tornando ai musei, in Italia sono 4.588, ma il 54% di questi funziona in assenza di personale o con un solo addetto.

Per venire fuori da questa situazione – «diventare il villaggio turistico del mondo e uscire dalla crisi», così recita il sottotitolo del libro – Salvia propone il sistema delle concessioni ai privati, almeno per quei beni che non attirano abbastanza visitatori. Anche se racconta bene i non esaltanti precedenti di alcuni capolavori: Ponte Vecchio affittato dall’amministrazione Renzi alla Ferrari, il Colosseo sponsorizzato da Della Valle e il Circo Massimo affittato dalla giunta Marino ai Rolling Stones per quattro soldi. A proposito di favoritismi, l’autore accende un faro sulla gestione dei servizi aggiuntivi nei musei (bar, librerie, biglietterie) che nel nostro paese sono tradizionalmente in mano a tre soli gruppi. Concessioni, queste, eternamente prorogate.

Nel libro non mancano idee per la soluzione dei problemi riconosciuti del turismo italiano, come la concentrazione dei flussi nelle città d’arte. Allungare gli itinerari oltre la stagione estiva e allungarli moltiplicando le mete, potrebbe essere una soluzione. Proposta però con molto realismo, anche a seguito dell’esilarante e insieme triste visita doppia che Salvia conduce al parco di Pinocchio a Collodi, 60 chilometri da Firenze, e alla casa di Pippi Calzelunghe a Vimmerby, 300 chilometri a sud di Stoccolma. Il primo ha dalla sua la maggior fama del burattino e il beltempo che permette l’apertura tutto l’anno. Il secondo ha i turisti, in misura quattro volte maggiore.