L’Italia, ondivaga come non mai sulla Libia, ieri ha aperto un canale privilegiato con la Russia, principale alleata del generale cirenaico Haftar. Il premier Giuseppe Conte, che solo tre giorni fa ha rassicurato telefonicamente il premier di Tripoli, Fayez Serraj intimando la ritirata ad Haftar, ieri a margine del summit di Pechino sulla Via della Seta è riuscito ad avere con Putin una mezz’oretta di colloquio: si sarebbero accordati per lavorare «insieme» a una «soluzione» della crisi libica.

UN FACCIA A FACCIA ben più «fitto e intenso» pare sia stato, sempre sulla Libia, quello tra lo stesso Putin e il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi: lì davvero si può parlare di una strategia comune iscritta nell’orizzonte di un negoziato politico da riattivare tra i vari attori libici sotto l’egida delle Nazioni unite, ma senza dimenticare il sostanziale appoggio all’offensiva lanciata dal Libyan national army (Lna) lo scorso 4 aprile.

E infatti nella terza manifestazione contro Haftar che si è svolta l’altra sera a Tripoli mobilitando decine di migliaia di abitanti, oltre a bandiere francesi bruciate, sono stati esposti ritratti di al Sisi e del re saudita Salman con la scritta «Wanted». L’offensiva di Haftar per liberare la capitale dai «terroristi», resta ancora impantanata nei sobborghi meridionali, fuori dal centro della città, fermata dall’aviazione di Misurata e dalle milizie, ma a questo punto è difficile pensare che ripieghi prima di un nuovo round di trattative politiche per dare al Paese un assetto istituzionale stabile.

LE MILIZIE DI TRIPOLI e i combattenti jihadisti arrivati a dar loro manforte contro il generale, spaventano i Paesi confinanti e ancor di più le potenze straniere. Algeria e Tunisia tornano a chiedere un immediato cessate il fuoco e descrivono la situazione libica come «allarmante e caotica». Conte stesso, da Pechino, ha messo in luce il «rischio che nella prospettiva di combattere i radicali islamici si possa favorire una loro trasmigrazione in Tunisia e poi anche in Italia». Anche l’Egitto – ha rimarcato Conte – che pure non intende entrare direttamente nel conflitto libico, condivide le preoccupazioni per il rischio che i terroristi dalla Siria e dal Nord Africa possano essere attirati nella fornace libica.
Il premier italiano tenta di non rimanere isolato dopo che anche Donald Trump ha riconosciuto l’impegno anti-terrorismo di Haftar. Anche se a sconfiggere l’Isis a Sirte non è stato lui, quanto piuttosto i combattenti di Misurata.

Ma Haftar più che un pedigree anti-terrore dopo aver acquisito il controllo di Sebha e del Fezzan, garantisce la sicurezza dei più grossi giacimenti petroliferi e può monitorare i flussi di migranti nel deserto sulla frontiera sud della Libia. Proprio a Sebha e in altre città dell’area si sono svolte ieri in modo del tutto tranquillo le elezioni comunali, con una partecipazione al voto del 41%.

SECONDO INDISCREZIONI raccolte dalla tv qatariota Al Jazeera, a questo punto è dal mare che il generale sta pianificando un prossimo attacco per rompere le difese di Tripoli. Mentre fonti dell’agenzia Nova di Misurata segnalano l’arrivo al porto di un gruppo di militari statunitensi dalla Tunisia. Sbarcati da hovercraft probabilmente distaccati da una nave militare d’appoggio.

In ogni caso, alla fine della battaglia di Tripoli, per riprendere il filo del dialogo sarà più facile mantenere come interlocutore il debole premier Serraj, già riconosciuto come legittimo dall’Onu, invece che sostituirlo con i suoi consiglieri di Misurata. Uno di loro, iI ministro dell’Interno Fathi Bashaga ha già chiarito che «per Haftar non c’è spazio nel futuro della Libia» o almeno «nella regione occidentale», promettendo un prossimo attacco su vasta scala per respingere «gli invasori».