Per una singolare e poco propizia coincidenza, a distanza di pochi giorni, due atti provenienti da diverse istituzioni europee hanno messo l’Italia sotto accusa. Entrambi i provvedimenti hanno a che fare con la irrisolta questione dell’introduzione nel nostro ordinamento giuridico del delitto di tortura.

Il primo documento è una sentenza, datata 22 giugno 2017, della Corte Europea dei diritti dell’uomo che condanna l’Italia a risarcire, per un importo complessivo di oltre due milioni di euro, 35 vittime dei «fatti della Diaz» accaduti durante il G8 del 2001 a Genova. «La Corte ha osservato che – si legge nell’atto – la procedura interna nel caso di specie era la stessa procedura che aveva determinato una violazione nel caso di Cestaro contro l’Italia. Non ha pertanto visto motivo di discostarsi dalle sue conclusioni in tale sentenza, anche per quanto riguarda le carenze del sistema giuridico italiano in materia di punizione della tortura».

Ora, si replica da ambienti del Governo italiano, quelle «carenze» sono prossime ad essere colmate dall’imminente voto favorevole della Camera al disegno di legge contro la tortura, già approvato dal Senato lo scorso maggio. Ma ecco che, quasi nelle stesse ore, viene resa pubblica una lettera inviata dal Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa Nils Muiznieks ai Presidenti dei due rami del Parlamento, a quelli delle commissioni Giustizia e a quello della commissione Diritti umani del Senato. Si tratta di un documento che più limpido non potrebbe essere: il testo della legge italiana viene puntualmente analizzato e criticato. Il Commissario per i Diritti Umani segnala alcuni aspetti e passaggi «che sembrano essere disallineati rispetto alla giurisprudenza della Corte, alle raccomandazioni della Commissione europea per la prevenzione della tortura e alla Convenzione delle Nazioni Unite».

Poi Muiznieks, entra nel merito e sottolinea come «nell’attuale versione del disegno di legge, perché si possa configurare il reato di tortura, sono necessarie “più condotte” di violenze o minacce gravi, ovvero crudeltà». Dunque, perché vi sia tortura sarebbe necessaria una pluralità di atti, il loro reiterarsi, il ripetersi magari in diverse circostanze. Il che nega proprio quanto affermato dalla Convenzione delle Nazioni Unite come fondamento stesso del concetto di tortura. Inoltre, il Commissario contesta il fatto che «la tortura psicologica è limitata ai casi in cui lo stesso trauma sia verificabile». Una circostanza che renderebbe davvero inapplicabile l’individuazione del reato, dal momento che gli effetti di un trauma psichico – basta scorrere anche da profani la letteratura scientifica internazionale – possono svanire dopo qualche tempo o manifestarsi a distanza di anni.

Insomma, il testo che sta per diventare legge – forse in coincidenza con la giornata mondiale contro la tortura del 26 giugno: il che sarebbe cupamente grottesco – non è quello voluto e prefigurato dalle Convenzioni internazionali e non è quello che nell’ormai lontanissimo 1988 l’Italia si impegnava a introdurre nel nostro ordinamento. Si farà una legge mediocre, di ardua applicazione e che, probabilmente, non avrebbe consentito la condanna per tortura dei responsabili di quella «macelleria messicana» che trovò drammatica attuazione nella notte del 21 luglio nella scuola Diaz di Genova. E come suona tragicamente distante, tutto ciò, dalla dolente consapevolezza dei genitori di Giulio Regeni che, davanti al cadavere seviziato del proprio figlio, dissero di aver visto sul suo volto «tutto il male del mondo».