Il rapporto trimestrale sull’occupazione della Commissione Europea restituisce, una volta di più, la realtà della grande depressione italiana. Nell’ultimo trimestre del 2012, l’Italia è stato il paese dove la disoccupazione è cresciuta di più, +0,5% rispetto al trimestre precedente. Un record nell’Eurozona dove spiccano la Polonia (+0,3%), la Spagna e la Francia (+0,1%). Crolla anche la produttività del 2,8%, dopo il precedente calo del 3%. Il peggioramento dell’occupazione e della produttività incide nettamente sui consumi e sui redditi delle famiglie. Confcommercio ha stimato che la flessione dei consumi privati sarà del 2,4% nel 2013, mentre nel 2014 dovrebbero aumentare dello 0,3%. Rispetto al 2007, la perdita è stata quantificata in 1700 euro a testa.
Sempre Confcommercio ha precisato la percentuale. Saranno 4 milioni le persone «assolutamente povere» alla fine del 2013, contro i 3,5 milioni certificati dall’Istat nel 2011, pari al 6% della popolazione. Un dato confermato a grandi linee dalla Commissione Ue secondo la quale il 15% della popolazione è in difficoltà economiche.
Un destino che sembra legare l’Italia alla Grecia dove si è registrato un aumento paragonabile della povertà. Insomma, la frattura tra Sud e Nord Europa è una realtà nel continente dell’austerity. Circa il 40% dei redditi bassi in Grecia, Italia, Romania, Slovacchia e Spagna sono in «condizioni di sofferenza finanziaria» rispetto al 10% di Germania e Lussemburgo. La frattura può essere osservata anche sulla disoccupazione. A gennaio 2013 ha raggiunto il 10,8% della popolazione attiva, per un totale di 26,2 milioni di persone. La disoccupazione giovanile è più alta nel sud Europa: tra gli degli under 25 in Italia è al 38,7%, in Spagna e Grecia supera il 50%, mentre nel’Eurozona al 23,6% (5,7 milioni di individui). Si tratta di una quota cresciuta del 43% rispetto al 2008, quando i giovani senza lavoro erano 1,7 milioni in meno. I lavoratori fra i 55 e i 64 anni classificati come «in povertà o esclusi sociali» sono il 25,7% della popolazione.
In una situazione altamente degradata per le condizioni del lavoro, la commissione Ue registra uno dei fattori strutturali della crisi italiana: il costo reale unitario del lavoro è salito dell’1,2% contro una media dell’Eurozona dello 0,2. Ma le retribuzioni per unità di lavoro sono rimaste ferme, mentre in Europa sono salite dell’1,2%. Una conferma è venuta ieri dall’istituto statistico tedesco Destatis secondo il quale i costi del lavoro in Germania sono saliti di un terzo rispetto alla media europea: 31 euro all’ora contro il 27,20 dell’Italia. Questa impennata dev’essere considerata alla luce dell’ultimo decennio quando i costi del lavoro sono aumentati molto lentamente in Germania, costituendo uno degli elementi del successo della sua economia. La produttività tedesca ne ha tratto un vantaggio strategico, mentre quella italiana continua a scendere, gravata dall’aumento del costo unitario del lavoro (+2,8%). La recessione viene alimentata anche dal taglio della spesa sociale che ha inciso profondamente sull’istruzione e sulla sanità, e non permette di intervenire a tutela di chi perde il lavoro. «La spesa sociale per proteggere disoccupati e più poveri – scrive la Commissione Ue – è scesa tanto da neutralizzare la funzione di stabilizzatore economico del sistema di protezione sociale», un evento che «ha contribuito ad aggravare la recessione, almeno a breve termine».
Questi dati sono stati confermati dalle previsioni contenute nella relazione sul documento di economia e finanza (Def) anticipata ieri al parlamento dal governo Monti. La disoccupazione è destinata a crescere nel 2013 e nel 2014. Quest’anno toccherà quota 11,6% e salirà all’11,8% nel 2014. La crescita del Pil nel 2013 sarà negativa, -1,3%. La causa sarebbe il «trascinamento negativo» della recessione del 2012. Il 2014 sarà invece l’anno dell’ottimismo, il Pil tornerà a crescere dell’1%. Un ottimismo fuori luogo, in realtà. Le stime degli organismi internazionali descrivono un quadro ben più fosco. Per il Fondo Monetario Internazionale il Pil nel 2014 crescerà solo dello 0,4%, la pensa così anche l’agenzia di rating Standard & Poor’s.
Il rapporto Ue segnala infine il fallimento della riforma Fornero delle pensioni. Nelle intenzioni dei suoi ideatori avrebbe dovuto contenere la spesa pensionistica.Come già previsto nel rapporto sulla spending review (ne abbiamo parlato su “Il Manifesto” del 19 marzo) la spesa continuerà a salire nel 2013: +5,7 miliardi, passando dai 249,5 miliardi del 2012 ai 255,2 del 2013. Impegnerà il 16,2% del Pil nel 2014. Non è escluso che dai cieli dell’austerità europea arriverà, presto o tardi, un’altra lettera per chiedere la riforma della riforma.