Tra incontri con le business communities del luogo e lunghe prolusioni sugli indubbi vantaggi d’investire nella decotta Alitalia, il Presidente del Consiglio Letta, in visita nei paesi del Golfo, ha posto le basi per ulteriori dismissioni del patrimonio pubblico. L’obiettivo, pienamente centrato, è stato quello di far comprendere ai democratici emiri che l’Italia è un paese dove si può e si deve investire. Specialmente in periodi di saldi come questo.

Così, al termine di una trattativa lampo, si è sancita ad esempio l’alleanza tra Cassa Depositi e Prestiti ed il fondo sovrano del Kuwait. Quest’ultimo conferirà ad Fsi, il Fondo strategico italiano gestito dalla stessa Cdp, mezzo miliardo di euro con l’obiettivo d’investire congiuntamente nel nostro paese in piccole e medie imprese “ad alto potenziale”. E sempre tramite Cdp si discuterà nei mesi a venire dell’ingresso degli sceicchi in Snam/Cdp Reti e Terna, ovvero le due società che gestiscono le infrastrutture distributive di gas ed energia elettrica. D’altronde, essendo già dipendenti dalle importazioni di combustibile per oltre il 75% del nostro fabbisogno energetico, il nostro governo ritiene che sia cosa buona e giusta recuperare altri spiccioli cedendo a fondi esteri anche quote importanti delle società di gestione della stessa rete energetica nazionale. E fa niente se negli stessi giorni in cui Letta era impegnato a promuovere l’Italia, la Commissione Europea ci abbia ricordato che le priorità sarebbero altre, come ad esempio affrontare la corruzione dilagante nel pubblico e nel privato, che pesa sull’Italia per sessanta miliardi di euro. Ovvero, quindici volte in più del valore presunto del 40% di Poste Italiane messo sul mercato giusto la settimana scorsa.

Ciò che colpisce della vicenda non è tanto la furia privatrizzatrice in sé quanto piuttosto la meticolosità con la quale la classe dirigente di questo paese sta costruendo un meccanismo di privatizzazione garantita dallo Stato.

Il colpo di genio consiste nell’utilizzare il veicolo Cdp come una camera di compensazione tra gli interessi delle fameliche nuove élite globali e la voglia di contare ancora delle burocrazie nostrane e dell’imprenditoria tricolore. Ma la trasformazione di Cdp in un vero e proprio fondo sovrano ci dice anche altro. La vicenda rappresenta l’ennesimo segnale che siamo di fronte ad un punto di svolta nella percezione di cosa è la politica e quali siano i compiti del personale politico. Se c’è ancora qualche illuso che chiede il ritorno ad una politica industriale attenta alle esigenze dell’ambiente, dei lavoratori e che promuova l’occupazione come sarebbe sancito anche dalla nostra Costituzione, si metta l’animo in pace. Non più di democrazia e partecipazione si nutre la politica contemporanea, bensì di affari e investimenti, con la classe politica che sempre più ama vestire i panni del brillante manager. O, come più spesso accade, quelli più modesti del grigio curatore fallimentare.