L’Italia sconfigge la Georgia con il punteggio di 28-17 in uno stadio Franchi pieno a metà. E mette (per ora) a tacere le polemiche sulla sua presenza nel Sei Nazioni, da più parti messa in discussione. I georgiani, i più accreditati tra i suoi concorrenti per sostituirla nel più antico torneo del mondo, restano al palo, nonostante il tifo indiavolato dei loro quattromila sostenitori. Quattro mete a due, risultato mai veramente in discussione.

Missione compiuta, verrebbe da dire, ma sbaglierebbe chi trovasse nella partita di oggi ragioni per menar vanto. I georgiani erano avversario tosto soprattutto per l’aggressività e la forza fisica degli avanti, per un’indole combattente mai doma, certo non per la qualità tecnica del loro gioco. Hanno fatto la loro partita. Placcando e aggredendo, ma una volta con il pallone in mano sono cominciati i loro problemi. Da parte sua, l’Italia ha cercato di affermare la propria superiorità tecnica, ma questo le è riuscito solo in parte. Si sono viste cose buone nei primi cinquanta minuti del match, spesso intervallate da falli ed errori: dominanti nelle touches, efficienti nell’organizzazione delle maul avanzanti, gli azzurri erano però lenti nel muovere palla e incerti nella scelta delle soluzioni d’attacco.

Dopo un quarto d’ora di tentennamenti culminati nella meta georgiana di Tamaz Mchedlidze, centro dal fisco possente, gli azzurri hanno cominciato a macinare gioco. A rimettere le cose in carreggiata sono bastati cinque minuti cinque minuti e una meta di Michele Campagnaro, poi una serie di azioni che non sono state finalizzate per errori, alcuni dei quali imperdonabili: Tommaso Castello, liberato al largo, sceglieva l’angolo di corsa meno indicato e andava a consegnarsi al placcaggio dell’unico avversario nelle vicinanze. I georgiani giocavano gli ultimi minuti del tempo in quattordici per un fallaccio di Tutskidze su Sperandio. Un calcio piazzato dei Tommaso Allan ingrassava il punteggio (13-7) e due minuti dopo, quasi allo scadere del tempo, era Mattia Bellini a raccogliere lungo l’out sinistro e a schiacciare in meta. Allan mancava la trasformazione e si andava al riposo sul 18-7.

Il secondo tempo pareva avviarsi in modo promettente. Dopo 3’ era Dean Budd a finalizzare gli sviluppi di una touche nei cinque metri (23-7 e nuovo errore di Allan che non trasformava). I georgiani replicavano con un piazzato di Matiashvili (23-10), poi al 16’ giungeva la quarta meta, con Allan abile nel infilarsi tra le maglie color vinaccia della Georgia: 28-10.

La partita pareva in discesa. Bastava controllare le confuse sfuriate georgiane, propensi a perdere palla nei raggruppamenti (buon lavoro delle nostre terze linee: Steyn, Polledri e Negri), e ripartire muovendo palla. Ma gli azzurri, come spesso accade, si sono persi, entrando nei più classici dei loro momenti di vuoto. Falli, cattiva gestione dei palloni conquistati, stanchezza. E la Georgia si è rifatta sotto, complici alcuni errori dell’arbitro, il neozelandese Glen Jackson, che al 23’ assegnava una meta tecnica per un (presunto) placcaggio di Tommaso Benvenuti su un avversario senza palla. Seguiva cartellino giallo per il nostro trequarti e dieci minuti che l’Italia, sempre più stanca e meno lucida, doveva disputare con un uomo in meno, costretta a difendersi dagli attacchi avversari in verità molto caotici. Il fischio finale era liberatorio.

È stata una partita brutta, priva di spunti tecnici degni di nota. La sfida tra la miglior squadra europea della seconda fascia, il Tier 2, e la peggiore del Tier 1, si è risolta a favore della seconda, l’Italia, più dotata tecnicamente ma mai veramente dominante. E varrebbe la pena scoprire che cosa sarebbe accaduto se anziché a Firenze si fosse giocato a Tbilisi.

Sabato prossimo si torna alla realtà, con l’Australia a Padova. Altra musica.