«L’Italia lancia un forte appello perché si agisca con moderazione e responsabilità, mantenendo aperti canali di dialogo, evitando atti che possono avere gravi conseguenze sull’intera regione». La nota della Farnesina sull’uccisione del leader iraniano Soleimani e sugli annunci di guerra in medioriente arriva solo alle 13. Nella scelta dei vocaboli si legge l’imbarazzo degli Esteri, su su fino a Palazzo Chigi, e l’impossibilità di prendere le distanze in autonomia dal gesto del presidente Usa, quel Trump che a fine agosto si era precipitato a fare gli auguri di permanenza a Palazzo Chigi al «talentuoso Giuseppi» Conte. È una delle ragioni per cui quella della Farnesina resta fino a sera l’unica posizione del governo sulla crisi improvvisamente esplosa nella notte.

NEL POMERIGGIO IL MINISTRO degli Esteri viene segnalato a Palazzo Chigi. Oltre alla guerra in Libia, sulla quale lo stesso premier Conte ha posizioni confuse («Lì c’è una guerra di tipo particolare», ha detto alla conferenza di fine anno) adesso anche lo scontro Usa-Iran rischia di segnare una pagina ingloriosa per il governo italiano. Solo in tarda serata l’Alto rappresentante dell’Ue per gli affari esteri Josep Borrell invita «tutti gli attori coinvolti e i partner che possono avere influenza a dare prova di responsabilità». Finalmente il ministro Di Maio ritrova la parola: «Un’altra crisi rischia solo di compromettere anni di sforzi per stabilizzare l’Iraq», «la priorità nella regione è la lotta all’Isis», dice.

È UN PROVVIDENZIALE SALVINI, per tutto il giorno, a distogliere l’attenzione dall’afasia del governo italiano. Il leader leghista scolpisce un tweet da fan del presidente Usa: «Donne e uomini liberi, alla faccia dei silenzi dei pavidi dell’Italia e dell’Ue, devono ringraziare Trump e la democrazia americana per aver eliminato uno degli uomini più pericolosi e spietati al mondo, un terrorista islamico, un nemico dell’Occidente, di Israele, dei diritti e delle libertà». La posizione è così scriteriata che l’alleata Giorgia Meloni, segretaria di Fratelli d’Italia, se smarca: una situazione così complessa, dice, «non merita tifoserie da stadio».

A SCHIERARSI CON SALVINI, cioè con Trump, sono i (sedicenti) moderati di Forza Italia: l’uccisione del generale «è comprensibile», dice Maria Stella Gelmini, affermazione che però cozza con la richiesta di impegno contro «l’escalation» delle tensioni. Gelmini sottolinea l’irrilevanza dell’Italia: «Il segretario di Stato americano Pompeo ha parlato con membri di governo di Regno Unito, Germania e Cina. L’Italia non è stata neanche presa in considerazione». Constatazione non lontana da quella di Matteo Renzi (Iv): «Quello che accade in Libia e in Medio Oriente dovrebbe farci cambiare passo e chiamare l’Italia e l’Europa a tornare ad avere un ruolo in politica estera».

FRA LE TANTE QUESTIONI di un dicastero in cui ancora stenta a percepirsi la sua entrata in gioco, in una Farnesina più spesso utilizzata come sede di riunioni di partito, il ministro deve anche fare i conti con le grane interne ai 5s, nel passaggio più delicato di un movimento che quotidianamente perde pezzi. E con il suo antagonista interno. Alessandro Di Battista, dopo essersi schierato al fianco dell’espulso Paragone, stavolta punge il «capo politico» proprio sulla politica estera. Il raid ordinato da Trump, scrive su facebook, è «vigliacco e pericoloso», il governo deve «dialogare con Teheran perché l’Iran non ha mai rappresentato una minaccia per il nostro paese. Al contrario, prima delle sanzioni, imposte all’Europa da Washington, l’Iran era un paese fondamentale per la nostra economia». Di Battista concede al massimo che in quel paese «ci sono leggi diverse dalle nostre, si vive in modo diverso».

SARÀ PER QUESTO che nel viaggio a Teheran da tempo annunciato per scrivere il suo nuovo libro (l’editore è Fazi, che gli ha affidato anche la cura di un’intera collana), l’ex deputato ha deciso di non portare moglie e figlio. Sempreché si faccia ancora, il viaggio nel paese di cui Beppe Grillo dà un’interpretazione diversa sin dai tempi di Ahmadinejad («Anche quando uscivano i discorsi di Bin Laden, mio suocero iraniano m’ha spiegato che le traduzioni non erano esatte»).

IL PD PER LO PIÙ MISURA LE PAROLE contro Trump, scatenandosi invece Salvini. Il segretario Zingaretti chiede che «l’Italia si faccia carico di far muovere l’Europa». E così il presidente dei deputati Delrio, preoccupato che l’esplosione della tensione nell’area «indebolisca le ragioni dei moderati in Iran e in tutti i paesi dell’area». Quella di Trump per Nicola Fratoianni (Leu) «è una dichiarazione di guerra». Migliore (Iv) chiede «l’immediata convocazione del parlamento». Fatto che sarà inevitabile, anche se il rischio è che diventi un’occasione per Salvini, dopo gli scivoloni su Putin, per accreditarsi stavolta come miglior amico italiano di Trump. Rischio che il premier “Giuseppi” non vuole correre.