Guerra aperta. Il commissario europeo all’Economia Pierre Moscovici si lancia all’attacco con toni forse mai adoperati prima nella storia dell’Unione.

Il commissario non fa nulla per nascondere quale sia l’obiettivo numero uno dell’offensiva, che non è certo sua personale ma dell’intera commissione: «L’Italia – scandisce in conferenza stampa – è il tema sui cui voglio concentrarmi prima di tutto: è un problema nell’eurozona».

[do action=”quote” autore=”Il commissario europeo all’Economia Pierre Moscovici”]«L’Italia è il tema sui cui voglio concentrarmi prima di tutto: è un problema nell’eurozona. Deve avere un bilancio credibile. Per la prima volta nella mia vita di europeo ho paura. L’attacco dei populisti alla democrazia liberale è una minaccia essenziale, esistenziale. C’è un clima che ricorda gli anni ’30. Chiaramente non c’è Hitler, ma tanti piccoli Mussolini»[/do]

Segue un affondo letteralmente inaudito, e anche se nel mirino non c’è più solo la penisola è evidente che nella lista nera della commissione l’Italia è ai primi posti: «Per la prima volta nella mia vita di europeo ho paura. L’attacco dei populisti alla democrazia liberale è una minaccia essenziale, esistenziale. C’è un clima che ricorda gli anni ’30. Chiaramente non c’è Hitler, ma tanti piccoli Mussolini».

POLITICA E ANTIFASCISMO, certo, ma soprattutto regole e parametri.

Perché quel che chiede Moscovici all’Italia, sia pur scomodando gli anni ’30, è in ultima analisi solo questo: il rispetto del rigore. Reclama «un bilancio credibile», perché «sarebbe una bugia pensare che si possa investire con un deficit più elevato: così si finisce con più debito e meno capacità di investire».

Non è un’esercitazione accademica ma un diktat.

Per abbassare il deficit strutturale il rapporto deficit/Pil non deve andare oltre quell’1,6% che, non a caso, Tria ha fissato come tetto per la legge di bilancio. Solo che così reddito di cittadinanza, Flat Tax e intervento sulla legge Fornero non figurerebbero neppure nel libro dei sogni.

All’affondo di Moscovici segue dopo pochi minuti da Francoforte quello molto meno sguaiato ma più minaccioso del presidente della Bce Mario Draghi.

Secco e laconico, Draghi gela una volta per tutte il miraggio di un ombrello della Bce sul debito italiano per contrastare la minaccia dello spread. «Il mandato della Bce – ricorda Draghi – è la stabilità dei prezzi nel medio periodo e non altro. Abbiamo usato il QE per questo scopo. Non è uno strumento per garantire che il debito governativo sia finanziato in ogni circostanza».

Effettivamente quello e solo quello è il mandato statutario della Bce. Si capisce quindi perché, nel governo italiano, il ministro per gli Affari europei Savona eviti di concentrarsi troppo sulle singole riforme in programma per cercare di rimettere invece in discussione la fonte del problema, in particolare proprio ruolo e mandato della banca centrale.

[do action=”quote” autore=”Il presidente della Bce Mario Draghi”]«Le parole sono cambiate molte volte negli ultimi mesi. Ora aspettiamo i fatti. E questo significa non solo il testo della bozza di legge di bilancio, ma anche la discussione parlamentare e poi vedremo le decisioni che prenderanno mercati e risparmiatori. Sfortunatamente abbiamo visto che le dichiarazioni hanno creato qualche danno e i tassi sono saliti per famiglie e imprese. Tutto questo – voglio sottolineare – è rimasto un episodio italiano. Detto questo dobbiamo essere consapevoli di quello che hanno detto il primo ministro italiano, il ministro delle finanze e il ministro degli esteri. E tutti hanno detto che l’Italia rispetterà le regole»[/do]

NEPPURE DRAGHI, PERÒ, perde di vista la vera linea del fronte nell’immediato: la legge di bilancio.

«Le parole – commenta riferendosi al nuovo governo italiano – sono cambiate tante volte. Ora aspettiamo i fatti. Purtroppo le parole hanno fatto alcuni danni alle famiglie e alle imprese, i tassi sono saliti».

Dopo aver così bacchettato senza bisogno di nominarli Salvini e Di Maio, il presidente della Bce ha la perfidia di nominare invece uno per uno i suoi punti di riferimento a Roma: «Il premier e i ministri delle Finanze e degli Esteri hanno detto tutti che l’Italia rispetterà le regole».

Che l’avvio di una procedura contro Orban non fosse solo la giustificata reazione a un regime autoritario ma anche l’avvio di una campagna elettorale all’ultimo sangue in vista delle prossime europee era già chiaro.

I toni decisamente sopra le righe adoperati da Moscovici segnalano però sia il profondo timore che agita Bruxelles, e in particolare il Pse e il Ppe, sia la scelta di mettere l’Italia, assurta ora a pericolo numero uno per l’Europa, con le spalle al muro.

 

PREVEDIBILI LE REAZIONI furibonde di Di Maio: «Giudizi ignobili da parte di una commissione che tra 6-8 mesi non esisterà più», e di Salvini, che ieri campeggiava sulla copertina di Time come «l’uomo con la missione di distruggere la Ue».

Anche da lui una replica al cianuro: «Moscovici si sciacqui la bocca prima di insultare l’Italia, gli italiani e il loro legittimo governo».

Ma queste sono schermaglie.

La partita si gioca sul testo della legge di bilancio e nel rapporto, fattosi difficilissimo, col ministro Tria.

La tensione resta altissima. Di Maio smentisce il conflitto e nega che Tria abbia messo sul tavolo la minaccia di dimissioni.

A far capire come stanno le cose ci pensa la ministra Lezzi: «Se saltasse il reddito di cittadinanza ad avere problemi sarebbe il governo».