E’ un film già visto. La nave di una ong che interviene per trarre in salvo un gruppo di migranti partiti dalla Libia, la sala operativa della Guardia costiera italiana che da Roma prima lancia l’allarme per l’imbarcazione in pericolo, poi affida il coordinamento dei soccorsi alla guardia costiera libica e infine prende tempo nell’assegnazione di un porto sicuro dove sbarcare i migranti chiedendo l’intervento dello Stato a cui fa riferimento la nave che ha compiuto il salvataggio. Nel frattempo decine di uomini, donne e bambini restano 36 ore bloccati in mezzo al mare sulla nave che li ha soccorsi e con un’emergenza a bordo: un bambino di 11 anni che ieri sera ha cominciato a vomitare sangue. Una situazione che si sblocca solo in serata, quando da Roma è arrivata l’autorizzazione a trasferire tutti i migranti sulla nave di un’altra ong più attezzata per assisterli. Un copione già visto, tanto da rendere difficile pensare che l’accumularsi di ritardi nell’indicazione di un porto dove trasferire i migranti sia solo un disguido burocratico e non piuttosto il tentativo di scoraggiare nuovi interventi di salvataggio.

Quanto è successo nel Mediterraneo centrale è infatti uguale a quanto accaduto il 15 marzo scorso alla nave Open Arms della ong spagnola Proactiva, la stessa intervenuta anche domenica per salvare 105 migranti che si trovavano a bordo di un gommone, e da allora bloccata in mare da un mix di burocrazia e scaricabarile tra Stati. Unica differenza: anziché spagnola, come accadde a marzo, questa volta la nave protagonista del salvataggio, la Astral, batte bandiera inglese e quindi il rimpallo di responsabilità è tra il Viminale e le autorità marittime britanniche. «Mi sono rivolto ai ministri Minniti e Delrio perché intervengano rapidamente per sbloccare la situazione, ma finora non è successo niente», spiegava ieri sera il deputato di +Europa, e segretario di Radicali italiani Riccardo Magi, che da giorni si trova a bordo della Ariel al seguito della Proactiva.

L’allarme per la a ong spagnola scatta domenica mattina, quando da Imrcc – il coordinamento dei soccorsi della Guardia costiera italiana che ha sede a Roma, arriva l’indicazione di u’imbarcazione in difficoltà a 12 miglia dalla costa libica. Una volta arrivata sul posto il comandante della nave, Riccardo gatti, prova più volta a contattare la Guardia costiera libica senza però ricevere mai risposta. A quel punto, viste le condizioni del gommone sul quale si trovavano i migranti, privo di motore e mezzo sgonfio, dalla nave decidono di procedere con i soccorsi. 105 persone vengono portate a bordo, tra le quali sei donne e sei bambini. «L’Astral è una nave di 30 metri ma non è attezzata per fornire soccorso a così tante persone», spiega Magi.

In zona naviga anche la nave Aquarius della ong Sos Mediterranee che sarebbe in grado di assistere i migranti. Perché questo avvenga senza rischiare l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, è però necessaria un’autorizzazione che per Roma deve essere rilasciata dalla Guardia costiera britannica. Autorizzazione che arriva solo verbalmente alle 4 di lunedì mattina. Quando però dalla Aquarius chiedono che venga messa nero su bianco si blocca tutto e così resta fino a ieri sera. «Donne e bambini sono sotto coperta, ma tutti gli atri migranti sono fermi al freddo sul ponte», prosegue Magi. «La situazione rischia di diventare insostenibile anche perché le condizioni del mare peggiorano».

La situazione finalmente si sblocca in serata quando la Guardia costiera italiana autorizza il trasbordo dei migranti sulla Aquarius «a tutela della salute e della sicurezza dei 105 migranti, già provati dal salvataggio, in considerazione anche dell’approssimarsi delle ore notturne».