Tanto rumore per nulla, per ora. Ieri il Mise ha rilasciato il documento di intesa tra Cina e Italia: si tratta di un testo – identico ad altre decine firmati dalla Cina – che non precisa niente, né dal punto di vista strategico, né dal punto di vista delle cooperazioni future. Troppo poco per essere vero, per portare il presidente cinese in Italia a firmare un documento vuoto. Per questo si ritiene che a latere arriverà il succo vero, seppure nei limiti di tutti i paletti imposti al governo italiano un po’ da chiunque.

DAGLI USA IN PRIMO LUOGO, rapidissimi a stroncare ogni tentativo di aprire in modo palese alla Cina su alcuni temi completamente off limit per gli americani, come ad esempio le telecomunicazioni. Eppure qualche giorno fa, il sito Euractiv, sempre molto vicino a cogliere quanto si muove sul fronte europeo in termini economici, aveva prodotto un articolo nel quale si rivelavano alcuni dettagli del memorandum con esplicito riferimento a investimenti cinesi nel porto di Trieste (proprio mentre anche Genova ha chiuso accordi con partner di Pechino). Le rivelazioni di Euractiv, forse, erano riferite a un documento precedente a quello depositato ieri al Mise, ma sicuramente più ricco di particolari.

E NON CI SONO DUBBI che Cina e Italia arriveranno a sottoscrivere accordi più importanti, se è vero che Xi sarà accompagnato in Italia da un folto numero di businessmen non certo desiderosi di limitarsi a fare una vacanza nel Belpaese.

Del resto, su questo avvicinamento tra Italia e Cina non sono mancati gli interventi esterni: dapprima è toccato agli Usa – via Financial Times e poi ancora ieri a mezzo stampa – mettere in guardia l’Italia da questo abbraccio. Ma a Washington interessa soprattutto una cosa: le telecomunicazioni. Salvaguardare il proprio primato tecnologico ostacolando ovunque l’ascesa della Huawei, colosso cinese molto avanti per tutto quanto riguarda il 5G, con tanto di progetti pilota già avviati in Italia.

Su questo aspetto nelle settimane precedenti il governo di Roma aveva mostrato di saper resistere al pressing americano, ma è probabile che in questo round di incontri non si metta nero su bianco niente. Su questo aspetto è stato chiaro il vice premier Matteo Salvini e pure Giancarlo Giorgetti. Ieri è toccato anche all’Ue irrompere nel dibattito. Come riportato dall’Ansa, «Il collegio dei commissari Ue riunito a Strasburgo ha varato la sua comunicazione congiunta al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio sulla nuova “visione strategica” nei rapporti Ue-Cina. Il testo presenta dieci raccomandazioni agli Stati e sottolinea che se da un lato l’Ue deve “approfondire il suo impegno con la Cina per promuovere interessi comuni”, è dall’altro necessario che gli Stati europei si muovano in piena unità».

Il protocollo d’intesa tra Italia e Cina sulla Via della Seta viene valutato come «valutiamo tutti gli altri protocolli firmati dagli altri stati Ue», ha detto il vicepresidente della Commissione Ue, Jyrki Katainen, ricordando che 13 Stati Ue hanno già firmato simili memorandum. «Tutti gli Stati membri che si stanno impegnando in tal senso – ha aggiunto – devono ricordarsi che abbiamo le nostre regole sulla trasparenza e la concorrenza, quindi gli appalti pubblici devono essere aperti a tutti».

DAL FRONTE GOVERNATIVO italiano sono arrivate le voci anche di Giuseppe Conte – nel weekend a Genova per il convegno di Limes – che ha confermato la firma e il suo prossimo viaggio a Pechino, ad aprile, per il secondo forum sulla Via della Seta, mentre ieri è toccato a Giovanni Tria. Emerge però una certezza: sembra che nessun esponente del governo a parte il sottosegretario allo sviluppo economico Michele Geraci abbia letto davvero il documento.

Secondo Tria, infatti, «Si sta facendo credo una gran confusione su questo accordo, che non è un accordo, è un Memorandum of understanding, si ribadiscono i principi di cooperazione economico e commerciali presenti in tutti i documenti europei, nessuna regola commerciale ed economica viene cambiata».