Una sconfitta salutare. Amara, certo, ma meritata. Perché non bastano il mestiere o i favori del pronostico: nella sua profonda onestà il rugby non perdona i distratti, coloro che giocano con supponenza o che si cullano sugli allori. Tonga ha fatto la sua partita e ha vinto; l’Italia è rimasta con la testa a Firenze, allo storico successo sugli Springboks, ha dimenticato quanto deve ancora imparare, quanta strada dovrà ancora percorrere, e ha perso. Allo stadio Euganeo di Padova il terzo e ultimo test match d’autunno è finito 19-17 per i tongani.

Poteva sembrare una partita in discesa per gli azzurri, che dopo 12 minuti erano già avanti 7-0 con una meta segnata da Cittadini, lesto a sgusciare da una maul successiva a una rimessa in gioco. Il pilone del Bayonne filava lungo la linea e andava a schiacciare oltre la linea. Canna trasformava e tutto pareva in discesa. Il gioco azzurro si affidava molto ai calci di spostamento di Canna, McLean e Padovani, con l’intenzione di sfiancare gli avversari e costringerli ad attaccare da lontano. Sulla carta non una cattiva idea, a condizione però di interpretare con accuratezza tutte le altre fasi, a cominciare da quella difensiva. Così non è stato. Troppi falli, troppi errori di esecuzione, scarsa lucidità mentale. A tutto questo va aggiunta la testardaggine (supponenza?) nel voler giocare la carta delle touches e delle maul a ogni costo anche quando c’era la possibilità di calciare tra i pali e aumentare il distacco.

Il gioco di Tonga era semplice. Faceva leva sulla possanza fisica dei suoi giocatori, sulla capacità di impattare andando sempre oltre la linea di vantaggio, sugli attacchi frontali che logoravano la difesa azzurra. Un metro, due, poi un altro metro ancora: rugby all’antica fondato sul guadagno territoriale, ma efficacissimo e letale contro la distratta Italia di oggi. Con la palla in mano Tonga avanzava, sempre, sospingendo gli azzurri verso la propria linea di meta, creando ansia e senso di pericolo.

Non è servito nemmeno il cartellino giallo dato con eccessiva severità dall’arbitro al seconda linea Mapapalangi al 23’ del primo tempo. Nei dieci minuti disputati con un uomo in più non solo gli azzurri non sono riusciti a concretizzare un paio di buone occasioni ma hanno incassato tre punti per un calcio di punizione del mediano di mischia Takulua che ha permesso a Tonga di portarsi sotto, riducendo lo svantaggio a soli 4 punti (7-3). E in chiusura del tempo arrivava un giallo per Panico, con l’Italia in chiara difficoltà.

Dopo cinque minuti della ripresa nuovo penalty di Takulua e si andava sul 7-6. Poi arrivava la meta di Tonga (51’), con Piutau che trovava il varco e arrivava fino in fondo: 7-13 con la trasformazione e la chiara percezione che il pomeriggio stava volgendo al peggio. Quattro minuti più tardi McLean sembrava riportare tutto sui binari giusti con una bella iniziativa individuale e l’assist per le mani di Allan che schiacciava tra i pali. La trasformazione riportava avanti l’Italia: 14-13. Al 60’ c’era una meta di Bisegni annullata perché l’ala aveva toccato la linea dell’out, poi era Tonga a fare il suo gioco, schiacciando gli azzurri nella loro area dei ventidue metri e costringendoli a difese disperate quanto dispendiose.

Al 73’ ancora un fallo italiano e Tukulua dalla piazzola non perdonava: 14-16 e nuovo sorpasso. Al 78’ era Padovani a fare il controsorpasso con un piazzato da posizione centrale: 17-16. Mancavano due minuti alla fine, bisognava mantenere i nervi saldi ed evitare falli, ma l’Italia era stanca, in affanno e priva di lucidità. Quasi allo scadere nuovo fallo della nostra difesa e Tukulua fissava il punteggio sul 17-19. Fine del match. Il punto di svolta per il rugby italiano è ancora di là da venire. Per ora bisogna lavorare molto, imparare le lezioni, riflettere sugli errori commessi. A febbraio si riparte con il Sei Nazioni e tre partite (Francia, Irlanda e Galles) da disputare in casa. E’ meglio arrivarci con le idee ben chiare.