L’Europa torna a bacchettare l’Italia per il mancato rispetto dei diritti civili per le persone dello stesso sesso. Neanche due mesi fa, il 22 luglio, era stata la Corte europea dei diritti dell’uomo (organismo del consiglio d’Europa, non dell’Ue) a condannare il governo per il mancato riconoscimento legale delle coppie gay e lesbiche. Ieri a intervenire è stato direttamente il parlamento europeo sollecitando l’Italia e altri otto Stati membri a legiferare perché alle coppie gay vengano riconosciute istituzioni giuridiche come «la coabitazione, le unioni di fatto registrate e il matrimonio». Si, l’aula di Strasburgo parla proprio di matrimonio, parola tabù in Italia se riferita a coppie formate da persone dello stesso sesso. Basti pensare, per capire la distanza che separa Roma dall’Europa dei diritti, che nello stesso momento in cui Strasburgo prende posizione sui matrimoni gay a Roma, nella commissione Giustizia del Senato dove è in discussione il ddl Cirinnà sulle unioni civili, ancora si litiga se estendere o meno anche alle coppie omosessuali diritti acquisiti ormai in tutta Europa come la reversibilità della pensione e le detrazioni fiscali. Anni luce di distanza.

L’occasione per intervenire in merito ai diritti delle coppie gay è stata la presentazione a Strasburgo del Rapporto sulla situazione dei diritti fondamentali nelle Ue che al paragrafo 85 affronta la tutela legale per le coppie gay. Il voto sul rapporto e sul paragrafo ha evidenziato l’ennesima spaccatura del Pd, con due parlamentari – Luigi Morgano e Damiano Zoffoli – che hanno votato contro e altri due – Patrizia Toia e Silvia Costa – astenuti sul paragrafo 85.

Nel rapporto chiede inoltre alla Commissione europea di presentare una proposta di legge che consenta il mutuo riconoscimento delle unioni e dei matrimoni registrati in altri Paesi. In questo modo, spiega Strasburgo, si riuscirebbe a «ridurre gli ostacoli amministrativi e giuridici discriminatori che devono affrontare i cittadini». Il parlamento europeo punta inoltre il dito contro le discriminazioni compiute a danno delle persone lgbt chiedendo agli Stati membri di «sanzionare» le cariche pubbliche che «insultano o stigmatizzano» omosessuali e transessuali e chiedendo per quest’ultimi di facilitare le pratiche burocratiche per il riconoscimento del nuovo genere.

Il voto di ieri del parlamento europeo non è vincolante, ma dovrebbe comunque rappresentare uno stimolo al cambiamento per gli Stati membri. In Europa solo Italia, Grecia e Polonia non hanno nessuna forma di riconoscimento delle coppie omosessuali, tutti gli altri garantiscono il matrimonio o, anche se in forme diverse, le unioni civili. Nonostante le promesse del premier Matteo Renzi, da noi il ddl Cirinnà è invece bloccato da prima dell’estate in commissione Giustizia del Senato per l’ostruzionismo del Ncd che ha presentato più di 1.400 emendamenti riuscendo a paralizzare di fatto i lavori. Ieri ad esempio in tutta la giornata ne sono stati approvati appena 50, mentre ne restano 1.260. I punti di scontro riguardo la possibilità per le coppie omosessuali di usufruire della reversibilità della pensione, delle detrazioni fiscali e degli assegni familiari, tute cose che il Ncd legge come un’equiparazione al matrimonio eterosessuale. In più c’è la questione della stepchild adoption, la possibilità di adottare il figlio biologico del partner, istituto riconosciuto in molti Paesi europei ma visto come il fumo negli occhi dal partito di Alfano.

Proprio per sgomberare il campo da ogni possibile equiparazione con il matrimonio, la scorsa settimana la mediazione voluta dai cattolici del Pd ha portato all’approvazione anche con i voti del M5S di un emendamento in cui le unioni civili tra persone dello stesso sesso vengono definite una «formazione sociale specifica». Definizione ambigua, che adesso potrebbe essere seguita da un altro emendamento che cancella dal testo gli articoli del codice civile dedicati al matrimonio, con il rischio di snaturare così ulteriormente il disegno di legge. Tutto pur di accontentare l’alleato di governo, che però non si accontenta. «Oggi ci siamo trovati davanti a un muro», si sfoga la senatrice Monica Cirinnà, relatrice del provvedimento. «Sono arrivati persino senatori da altre commissioni in sostituzione che hanno lavorato al solo scopo di farci votare appena undici emendamenti in un’intera mattinata». Emendamenti diventati poi 50 alla fine dei lavori della commissione. Ieri sera, nel corso della trasmissione Otto e Mezzo, il ministro per Riforme Maria Elena Boschi ha di nuovo garantito l’impegno del governo ad approvare il ddl Cirinnà entro il 15 ottobre, come promesso. Un impegno, si è però affrettata ad aggiungere, «che possiamo rispettare se non ci saranno ostruzionismo e blocchi anche sulla riforma costituzionale».