Il ministro degli Esteri italiano, il flemmatico Paolo Gentiloni, ha sentito ieri pomeriggio il premier libico Fayez al Sarraj, l’uomo che ha richiesto la forza aerea americana per aiutare le milizie di Misurata a concludere la presa di Sirte.

Non è dato sapere se Gentiloni lo abbia sentito al telefono direttamente dal suo ombrellone ad Anzio o dai suoi uffici alla Farnesina ma è chiaro che lo scambio di opinioni sia stato più che cordiale. La linea strategica tra il governo di Roma e quello di Serraj, fino a poche settimane fa insediato su una nave a largo di Tripoli, è infatti molto simile. Gentiloni la ripeterà oggi pomeriggio nell’informativa al Parlamento sulla politica estera e poi, di nuovo, domani mattina insieme alla collega Roberta Pinotti davanti alle commissioni Esteri di Camera e Senato a Palazzo Madama.

Riguardo alla eventuale discesa di «stivali» italiani nel deserto libico, non è nei piani. Così come viene smentito l’apporto di incursori di Comsubin e sabotatori di Col Moschin, tanto per citare i corpi speciali che probabilmente sarebbero pronti come estrema ratio.

Quanto alle basi di Sigonella e di Trapani-Birgi per i raid a stelle e strisce di caccia e droni, operazione su cui i gruppi parlamentari M5S ieri hanno diffidato il governo a dare l’autorizzazione senza passare prima da una discussione e un voto in Parlamento, esistono regole Nato che ne stabiliscono l’utilizzo.

Gentiloni comunque, intervenendo in mattinata su Raiuno ha precisato che «la cosa che gli italiani devono sapere è che si tratta di interventi mirati contro le posizioni dello Stato islamico intorno a Sirte e che il governo libico, o meglio le forze che lo sostengono, ha raggiunto diversi obiettivi pagando anche un prezzo molto alto».

«Se ci saranno richieste di apporto militare diretto all’Italia – ha aggiunto – valuteremo e se prenderemo delle decisioni, ne informeremo il Parlamento». Spiegando anche che i raid Usa su Sirte si concentrerebbero su 4 o 5 compound ancora controllati dai miliziani dell’Isis ma che «non è facile liberare l’intera città». Soprattutto perché – come ha chiarito il generale Leonardo Tricarico, ex capo di Stato maggiore dell’Aeronautica che ha partecipato alla guerra del 2011 – le milizie di Misurata, spina dorsale della capacità militare di Sarraj, «non sono disposte a subire altre perdite», avendo già lasciato a terra oltre 300 uomini a Sirte. Vogliono, probabilmente, un segnale di appoggio internazionale a Sarraj per continuare l’avanzata.

Di fronte a questa situazione, poco o nulla riescono a dire le opposizioni di destra. Fabio Rampelli di Fratelli d’Italia e Giovanni Toti, consigliere politico di peso di Silvio Berlusconi, pateticamente se la prendono con Palazzo Chigi perché l’Italia non è schierata in prima fila sul fronte di guerra. «Non abbiamo il comando della missione in Libia?», si chiede il presidente della Regione Liguria.

«Non sarebbe meglio contribuire a eliminare le cause che spingono migliaia di persone a partire invece di usare altrimenti le nostre navi?», insiste con enfasi para-leghista riferendosi evidentemente ai tre interventi di soccorso in mare avvenuti ieri su tre gommoni con a bordo circa 400 migranti a largo delle coste libiche ora pattugliate solo da navi militari da parte del pattugliatore «Aviere» della Marina militare italiana che invece di salvare umani potrebbe portare missili.

L’azzurro Elio Vito con un tweet fa in ogni caso sapere al governo che sulla Libia «Forza italia sarà responsabile, non come la sinistra». L’azzurro presidente della commissione Esteri della Camera Fabrizio Cicchitto se la prende contemporaneamente contro Erdogan e contro ll’ambasciatore russo in Libia Ivan Molotkov per aver definito «fuori dalla legalità internazionale» l’intervento Usa su Sirte.

«In realtà – dice Erasmo Palazzotto di Sel, vice presidente della stessa commissione – l’intervento Usa legittima la politica italiana sulla Libia, che cerca la stabilità del paese e si attiene alla risoluzione 2259 dell’Onu, in contrasto con la politica di altri paesi europei come la Francia». Il generale Haftar con il suo codazzo di interessi petroliferi francesi (Total, rivale dell’Eni) e geostrategici egiziani avrebbe voluto liberare lui Sirte. Gli Usa e l’Onu cercano di impedirlo. «L’assurdo è che in questa partita tutta diplomatica e tutta interna alla Ue si usano le bombe e a Sirte necessariamente ci sono anche civili – dice Palazzotto – non solo miliziani dell’Isis».